Dopo un primo episodio decisamente confusionario, la trama di Inside Man prende definitivamente forma e riesce nella missione di tenere tutti incollati allo schermo in attesa dell’episodio successivo.
Nonostante una trama molto particolare e una preparazione fatta di due episodi con un minutaggio consistente, la serie non ha finora annoiato, riuscendo a catturare l’attenzione del suo pubblico. Gli ingredienti per incuriosire c’erano tutti già dallo scorso episodio, tuttavia davvero troppo caotico per poter convincere pienamente. Il secondo episodio prepara ancora il terreno, ma comincia a svelare la natura della miniserie e a persuadere tutti a scoprire come va a finire.
NEL BEL MEZZO DEL TRUE CRIME…
No, Inside Man non è basata su fatti realmente accaduti…Che sollievo. Finalmente un po’ di sana finzione nel genere poliziesco-noir che mancava da un po’ sugli schermi seriali. Sebbene molto spesso la realtà riesca a superare di gran lunga la fantasia (gli esempi purtroppo sono tristemente notissimi) questa volta l’intreccio della nuova miniserie Netflix è talmente assurdo da risultare poco credibile; e la bella notizia è che è proprio così.
La narrazione è costruita su un piano di surrealismo che vede tutti i personaggi estremamente convinti di star compiendo delle azioni sensate e di essere circondati da fatti e persone plausibili. A partire dal reverendo Harry che pensa sia una buona idea incatenare una donna nello scantinato (con tutte le comodità che può offrirle) piuttosto che spiegare alla polizia la verità; passando per la moglie che cerca “come uccidere una persona” su Google; finendo con l’uxoricida nel braccio della morte in contatto telefonico con una giovane giornalista in cerca di un buon articolo. Tutto è deliziosamente assurdo da convincere lo spettatore che accetta immediatamente il patto di credulità, nonostante sia particolarmente oneroso e sbilanciato.
CHE IL TRHILLER ABBIA INIZIO
I primi due episodi sono serviti a preparare il terreno al vero e proprio intreccio che parte da questo momento in poi: le trame di Harry Watling e Jefferson Grieff si sono ufficialmente sovrapposte e il thriller può avere inizio.
Il punto forte della serie è rappresentato senza ombra di dubbio dai suoi protagonisti. Stanley Tucci è particolarmente brillante nei panni di un criminale dedito alla risoluzione di casi impossibili. Il mondo letterario/cinematografico non è certo a corto di piccoli geni che offrono il loro intelletto a servizio della comunità (Steven Moffat lo sa molto bene) ma Jefferson Grieff è un personaggio svestito della megalomania e della stravaganza che solitamente caratterizza il prototipo in questione. Il ché lo rende ancora più affascinante agli occhi dello spettatore (e anche più simpatico, il mondo è pieno di piccoli Sherlock Holmes, e nessuno alla fine si rivela davvero degno di tale nome).
Oltreoceano, David Tennant si conferma la solita garanzia. Qualsiasi sia il ruolo, la certezza è che Tennant sarà in grado si vestirlo a dovere. Il reverendo Harry è un personaggio ancora più controverso di Grieff (e si tenga sempre ben a mente che si tratta di un uxoricida destinato alla sedia elettrica che gioca a Nancy Drew) che pretende di salvare tutti coloro che lo circondano, immolandosi come colpevole in un crimine che non ha commesso. Così facendo salverà la moglie, che non commetterà alcun omicidio, provando magari a cambiare motore di ricerca; salverà il figlio da ignobili pettegolezzi o peggio, da un processo; salverà Jenice, che non sarà uccisa dalla signora Watling; salverà il giovane Edgar, evidentemente troppo fragile per affrontare il mondo.
Il finale di episodio con il suicidio di Edgar e Beth Davenport diretta in Uk apre gli ultimi due episodi di questa bizzarra e surreale miniserie inglese.
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Finalmente un po’ di crime senza il true. Era ora.
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Lunatica, brutta, cinefila e mancina. Tutte le serie tv sono uguali, ma alcune sono più uguali delle altre.