La Casa De Papel: Corea 1×01 – Episode 1TEMPO DI LETTURA 5 min

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recensione La Casa De Papel Corea 1x01Nell’epoca dei franchise, dei multiversi e dei riadattamenti continui, uno show del genere non dovrebbe destare poi così tanta curiosità.
Ma certamente il fatto che si tratti dell’adattamento asiatico della più remunerativa serie Netflix di sempre (a livello di merchandising ed impatto sui social) ha fatto sì che fin da subito tutti i riflettori venissero puntati su La Casa De Papel: Corea.
Quasi come se i creativi della piattaforma si fossero trovati ad un certo punto e avessero pensato di unire la serie di Alex Piña con Squid Game creando un mostro di sicura presa per il pubblico seriale mainstream.
Per vedere quali saranno le conseguenze di questo esperimento bisognerebbe vedere di fila tutti gli episodi (magari sperando di non avere lo stesso numero di stagioni dell’originale), ma già da questo episodio pilota si possono trarre alcune conclusioni interessanti.

L’AEC E LA PENISOLA COREANA UNIFICATA


Come ben sanno gli autori di Cowboy Bebop, infatti, non basta prendere una storia già pre-confezionata e spostare semplicemente l’ambientazione dalla Spagna alla Corea, bisogna dare allo spettatore una motivazione valida per seguire lo show.
E, da questo punto di vista, non si può dire che non l’abbiano trovata. La Casa De Papel: Corea, infatti, è ambientata in un immaginario 2025 in cui le due Coree, dopo anni di conflitti, si sono unificate e hanno formato l’AEC, una sorta di città-stato comune che funge da “capitale” economica e politica della nuova Corea unificata.
In questa città si ritrovano a convivere, per la prima volta, coreani del Nord e del Sud, ma non tutti allo stesso modo. Con un’autocritica incredibile al proprio sistema economico (la produzione e gli autori sono tutti della Corea del Sud), lo show mostra una situazione da capitalismo sfrenato in cui pesano le differenze sociali fra le diverse fasce della popolazione. Una disparità economica e di vita (tema comunque sempre presente nelle produzioni di questo Paese) in cui ovviamente sono i nord-coreani a rappresentare la scala sociale più bassa. E questo porta decisamente il tutto ad un altro livello.
Anche questo reboot dunque non tradisce lo spirito originario della serie che traeva spunto da un certo spirito rivoluzionario derivato dalla crisi economica europea (tema molto presente almeno nelle prime due stagioni pre-Netflix), ma lo riporta ad uno scenario più contemporaneo ed attuale in cui rientra anche il tema della guerra, ora più attuale che mai.

IL “DERBY” DI TOKYO


Meno canzoni retoriche, dunque, e molti più fatti e attenzione al contesto sociale, almeno in questo primo episodio pilota. Di Bella Ciao non rimane che una pallida scritta (in italiano) sulla porta del ristorante in cui lavora la versione sudcoreana di Álvaro Morte. Anche le maschere indossate dai protagonisti appaiono molto più generiche rispetto al volto emblematico di Salvador Dalì che campeggiava in tutte le locandine della serie originale. Questo è sicuramente il maggior pregio di questo reboot: il riportare tutto ad una dimensione “realistica” e meno idealizzata dei protagonisti (forse anche perché mancanti di quella patina “caricaturale” da telenovela che si portavano appresso gli omologhi spagnoli).
A cominciare dalla Tokyo interpretata da Jeong Jong-Seo, voce narrante degli avvenimenti e protagonista assoluta di questo episodio pilota. In “Episode 1” viene descritta la sua parabola esistenziale da soldatessa dell’esercito nord-coreano (amante del K-pop) ad “allieva” del Professore. Si può tranquillamente affermare che sia come interpretazione, sia come scrittura, questo personaggio sia superiore non che ci volesse molto a quello ben più stereotipato di Ursula Corberò.
Il contesto socio-politico al momento è quello che la fa più da padrone, e questo è senz’altro positivo poiché contribuisce a dare al prodotto una sua “originalità”. Anche i “comprimari” di questo episodio sono ri-adattati in maniera intelligente:

SENSAZIONE DI DÉJÀ-VU


Per il resto però le dinamiche all’interno della Banda rimangono pressoché le stesse, così come la sceneggiatura di questo episodio pilota che (salvo la storyline di Tokyo) è di fatto un vero e proprio remake dell’originale.
La sequenza dell’ingresso alla Zecca è praticamente uguale e già s’intravvede sia il nuovo Arturito che la nuova Stoccolma. Anche le dinamiche che si vengono a creare dentro e fuori la Zecca perciò sono le medesime e questo fa purtroppo presumere che anche i successivi sviluppi siano più o meno gli stessi. Sarebbe un peccato perché si perderebbe questa patina di originalità che finora ha segnato lo show. Certo, data la struttura narrativa de La Casa De Papel, il finale non lascia molte alternative (o il piano del Professore va bene o muoiono tutti) però si spera che l’ambientazione così diversa e caratteristica offra anche qualcosa in più allo spettatore e non un mero copia-incolla.
Per questo motivo il voto finale non può che essere, al momento, un Save ma con un’aspettativa decisamente migliore verso i successivi episodi.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Ambientazione “futuristica” dello show
  • Tokyo migliore dell’originale
  • Il cafè “Bella Ciao”
  • Episodio fin troppo simile all’originale
  • Sigla inferiore rispetto a quella di Cecilia Krull!

 

Finora nessuna sorpresa per questo primo episodio di La Casa De Papel: Corea. Nel senso che appare esattamente per quello che è: un mero reboot. Eppure s’intravede anche del potenziale, in questa nuova versione asiatica e “futuristica” dello show di Alex Piña, che non è da sottovalutare.

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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!

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