Non manca molto alla conclusione di questo terzo arco narrativo di Miracle Workers e, sebbene la serie abbia dimostrato negli anni di sapersi prendere non troppo sul serio, costituendo più che altro un passatempo leggero per quegli spettatori in cerca di venti minuti di svago senza troppe complicazioni, appare oramai evidente vi sia qualche difficoltà a conferire una reale concretezza alla narrazione, finendo il più delle volte a girare in tondo a personaggi ben poco tridimensionali e dinamiche oltremodo ripetitive.
BENNY, UN PASSO AVANTI E CINQUE INDIETRO
“Yeah, about that… It’s every man for himself. Good luck!“
Già a partire dalla precedente stagione – peraltro intitolata Miracle Workers per motivi ancora sconosciuti – la serie aveva mostrato di non avere esattamente le idee chiare in merito alla direzione da intraprendere. Nel corso delle prime puntate della terza, invece, sembrava finalmente che Simon Rich avesse corretto il tiro, tornando a mettere in scena racconti effettivamente legati a dei miracle workers e con un minimo di personalità in più rispetto al tremendo flop di Dark Ages. Nel complesso si può dire che la serie quantomeno riesca ad intrattenere, soprattutto grazie al contesto western simil-Bonanza e ai numerosi riferimenti in chiave ironico-demenziale disseminati qua e là all’interno della serie.
A non convincere molto, invece, è il viaggio di (non)redenzione intrapreso da Benny, troppe volte ormai messo di fronte alla scelta di fare la cosa giusta, per poi tornare alla sua natura di bandito egoista ed opportunista. Sicuramente sarà nelle intenzioni di Rich mettere ciclicamente di fronte allo spettatore la cruda realtà circa l’incorreggibile natura del personaggio di Buscemi, sebbene per il momento non sembra che questa decisione abbia effettivamente portato a qualche risultato concreto, ma arrivati a questo punto della stagione sarebbe sicuramente più utile giungere ad una finalizzazione in questo processo di crescita, a maggior ragione dopo quanto visto in “White Savior“, episodio dove Benny ha mostrato non soltanto le potenzialità circa un possibile cambiamento, ma anche un’effettiva intenzione di intraprendere quella strada.
IL “ONE PRIEST SHOW” DI DANIEL RADCLIFFE
D’altro canto, a salvare l’episodio da una sicura catastrofe, ci pensa Daniel Radcliffe con il suo Zeke e la temporanea vacanza presa dal personaggio rispetto al suo personale percorso di uomo di fede. Certamente si potrebbe obiettare circa un’improvvisa e radicale deriva del personaggio dal suo iniziale percorso narrativo, deriva che tra l’altro butta alle ortiche qualsivoglia sforzo compiuto per convincere lo spettatore circa la sua incrollabile fede, d’altra parte però la marea di siparietti creati proprio grazie a questo suo allontanamento dal sentiero divino riescono a compensare la suddetta incoerenza narrativa regalando allo spettatore gli unici veri momenti di divertimento all’interno dell’episodio.
A partire dalle varie piaghe mandate dall’Altissimo per punire la sua mancanza di fede (l’autocombustione della vecchia e il giovane Levi posseduto in particolare), e proseguendo con i metodi casalinghi impiegati per scampare all’ira del Divino, culminati con il geniale Testicle Kicker 900 (punto più alto della puntata), l’intero segmento di Zeke in questo ottavo episodio ruba letteralmente la scena agli altri protagonisti delle vicende (forse anche un po’ per colpa dei segmenti un po’ più deboli dei vari comprimari), lasciando un po’ di spazio, proprio sul finale, al colpo di scena riguardante la conversione di Todd da stupido nobiluomo a stupido villain con annesso rapimento di Prudence. Colpo di scena che, ancora una volta più per confronto che per merito vero e proprio, riesce a creare un’aspettativa minima riguardo il prossimo (e penultimo) episodio della stagione.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Un altro episodio sufficiente in una stagione che ha mostrato qualche segno di miglioramento rispetto alla tragica parentesi di Dark Ages. La speranza è che si arrivi effettivamente ad una conclusione soddisfacente al termine di questo terzo arco narrativo, nel frattempo possiamo quantomeno ringraziare Daniel Radcliffe, unico vero spiraglio di luce in una stagione che altrimenti sarebbe stata piuttosto mediocre.
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.