Tutti sono a conoscenza della maledizione dei secondi episodi. Le puntate denominate sotto l’egida 1×02 hanno infatti una tradizione non molto gloriosa fatta di lentezza, poca grinta e, più in generale, mancanza di mordente. Praticamente c’è molta più politica dietro la creazione dello script piuttosto che l’espressione di una vera e sana verve creativa. Ecco: si prendano questi aggettivi e si pensi ai loro opposti per giudicare questa “Don’t Panic”.
Magari è l’assenza di Joseph Gordon-Levitt sia alla regia che alla scrittura, il che potrebbe aver portato ad un suo focus massimo nella recitazione, magari è la comparsa di una meteora estremamente reale pronta a colpirlo, sta di fatto che questo secondo episodio di Mr. Corman è riuscito nel difficilissimo compito di fare meglio del suo predecessore. E quando si è guardato “Good Luck” non si era rimasti affatto interdetti, anzi, tutt’altro.
UN LEGGERISSIMO ATTACCO DI PANICO
Che Mr. Corman non sia una serie facilissima da digerire per il grande pubblico era abbastanza chiaro fin dalla visione del pilot. E d’altronde non sembra che rientrasse nelle intenzioni del suo demiurgo, Gordon-Levitt, di creare un prodotto mainstream e per tutti i gusti. Mr. Corman non è un classico dramedy in cui a momenti semi seri si alterna una realtà drammatica fatta di eventi poco piacevoli che potrebbero accadere, la serie è un qualcosa di diverso e decisamente più spostato sul drama che su quello comedy. Se si dovessero dare delle percentuali, un buon 80% del suo DNA sarebbe serenamente composto dal lato drammatico.
“Don’t Panic” mette chiaramente in risalto una parte più profonda di Josh Corman, un lato molto più preoccupante e che era emerso solo in una certa maniera in “Good Luck“. E non potrebbe essere altrimenti visto che il senso di oppressione che attanaglia il protagonista si manifesta in attacchi d’ansia visivi piuttosto reali. Tipo un meteorite.
C’è anche da considerare la scelta di Apple Tv+ di rilasciare in simultanea i primi due episodi per poi ritornare ad una programmazione scaglionata settimanalmente. Una scelta che sembra dovuta proprio alla necessità di guardare le prime due puntate insieme per avere un’idea piuttosto significativa della serie.
“Okay, so let’s get started. For the first 20 minutes or so we’re gonna breathe into our belly, into our chest, and then exhale through the mouth. So when you’re ready, find yourselves on your backs. Make yourself comfortable on your mat. Close your eyes. And we will begin.”
Se nell’intento primario di Gordon-Levitt c’è sicuramente la volontà di affrontare un tema comune ma di cui non si parla praticamente mai, né nella vita reale, né al cinema o sul piccolo schermo, il poliedrico regista/attore/showrunner non si fa mancare l’occasione per evidenziare alcune falle del sistema americano.
L’attacco d’ansia che d’un tratto rivoluziona la vita di Josh è un ottimo pretesto per dare un’idea delle difficoltà nel trovare un aiuto sia da professionisti del settore (medici, ambulatori, ospedali), sia dagli amici. Da un lato la dittatura sanitaria imposta dalle assicurazioni emerge prepotentemente, dall’altro si palesa come naturale la “soluzione fai da te” fatta di pillole date da amici di amici. Le conversazioni telefoniche (che rappresentano il 20% di cui sopra) sono drammatiche per chi le vive ma non per chi guarda conscio della loro drammaticità, e qui sta tutta la bravura di Gordon-Levitt nel rappresentare in maniera intelligente ed intrigante un problema molto serio ed una società non in grado di assisterlo correttamente.
Paranoie, solitudine e l’impossibilità di ricevere l’aiuto richiesto sono gli elementi cardine di questo episodio che però, sorprendentemente, decide di chiudersi con una nota positiva, concedendo un po’ di speranza e rilassando l’atmosfera con un semplice gesto delle mani. Una piccolezza che però diventa gigantesca in un episodio (ed in una serie) che comunica a volte molto di più con le immagini piuttosto che con la comunicazione verbale spesso falsa e dettata dalle circostanze. Tipo: “I’m ok” quando palesemente non si è ok.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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“Don’t Panic” alza l’asticella ed intriga lo spettatore più che durante il pilot. Viste le potenzialità della serie ci si astiene dal Bless ma questo è un Thank Them All estremamente gonfio.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.