The Patient 1×06 – CharlieTEMPO DI LETTURA 3 min

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The Patient 1x06 recensioneIl giro di boa della serie creata da Joel Fields e Joe Weisberg si è conclusa con l’assasinio di Elias da parte di Sam. Il tutto in una specie di escalation che da una parte è sembrata doverosa, onde evitare di allungare il brodo e ricadere in classici stilemi narrativi, dall’altra ha sicuramente cambiato il rapporto tra paziente e medico già piuttosto complicato.
“Charlie” deve quindi fare i conti con l’omicidio di Elias e soprattutto con le conseguenze e le ripercussioni, per non dire danni, che tutto ciò ha lasciato a livello psicologico su Alan Strauss. Per l’occasione ecco allora che i due creatori scelgono di introdurre l’omonimo Charlie che da il nome alla puntata, interpretato da David Alan Grier, e che arriva in scena in un formato piuttosto surreale. Un formato che enfatizza ancora una volta l’attento studio sui personaggi e sulle limitazioni nell’aggiunta di nuovi character che hanno portato ad optare prima per dei flashback ed ora per una visita piuttosto curiosa dall’aldilà.

LA SOGGETTIVITÀ DELLA NARRAZIONE


The Patient nasce con un DNA piuttosto preciso che vede tutta una serie di limitazioni sia ambientali che di cast alla base degli episodi. La situazione claustrofobica e di prigionia in cui il personaggio di Steve Carrell deve muoversi è centrale per la narrazione e, al tempo stesso, rappresenta anche un punto di vista piuttosto soggettivo dello spettatore a cui solo rare volte è concesso di uscire dal quel seminterrato in cui si svolge la serie.
La soggettività e il soffocamento sono necessarie per offrire quel tipo di sensazioni che Fields e Weisberg hanno in mente, il tutto con le limitazioni del caso. Limitazioni a cui si è sopperito in passato, ma anche parzialmente in questo episodio, con dei flashback e che questa volta vengono sorpassate con l’inserimento di una seduta terapeutica immaginaria con l’ex migliore amico di Alan.
Scavare una tomba nello stanzino del seminterrato per seppellire un cadavere e allo stesso tempo non sapere se oltre a quel cadavere ci si aggiungerà anche quello di Alan ha il suo perché, specialmente per via della perdita di fiducia scaturita come reazione spontanea dal fallimento di Sam. Un fallimento a cui “Charlie” dà un bel po’ di spazio con sommo piacere dello spettatore.

LA SOLUZIONE È SEMPRE LA DIALETTICA


Negli scorsi episodi ci si era lamentati parzialmente del background di Alan in quanto non offriva grossi spunti per empatizzare con lui al di là della mera coercizione anche per via di supporting character non proprio tridimensionali, e lo stesso si può dire di Charlie che, per quanto sia funzionale ad affrontare quanto appena vissuto da Alan, rimane un personaggio appunto bidimensionale visto che arriva dal nulla e senza troppi preamboli.
Le sole informazioni che vengono concesse allo spettatore arrivano dalle frasi “I’m talking to my dead therapist. So I’m disassociating“, brevi incipit che lasciano intendere un precedente rapporto piuttosto profondo tra i due ma, dal tono, anche piuttosto amichevole. In quest’ottica non dispiacerebbe assistere a qualche flashback per approfondire il rapporto tra i due che, ora come ora, sembra essere molto funzionale alla trama per far affrontare ad Alan l’omicidio di Elias e niente più.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Interessanti chiacchierate mentali tra Alan e Charlie per affrontare il trauma appena vissuto
  • Cambio di rapporto tra Alan e Sam
  • Freddezza mentale nel scrivere il proprio addio e metterlo nella bocca del defunto Elias
  • Regia
  • Interpretazioni sempre eccelse di Steve Carell e Domhnall Gleeson
  • Ancora troppo poco utilizzata la madre di Sam
  • All’improvviso arriva un Charlie, così, dal nulla

 

Che piaccia o meno la scelta di avere una conversazione immaginaria con il proprio defunto miglior amico terapista, bisogna ammettere che nell’economia di “Charlie” funziona benissimo. Nuovamente ci si ritrova davanti ad un buonissimo episodio che suscita il giusto livello d’ansia e frustrazione ma che, sfortunatamente, continua a mancare il massimo dei voti per qualche inezia.

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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.

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