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Sound Of Metal

Recensione di Sound Of Metal, film candidato a sei premi Oscar. Darius Merder dirige un Riz Ahmed in stato di grazia in un film che nasce dalle ceneri di un documentario mai realizzato.

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Ruben Stone (Riz Ahmed) suona come batterista nel duo metal Blackgammon insieme alla cantante, nonché fidanzata, Lou (Olivia Cooke). Dopo una delle loro esibizioni, il ragazzo comincia a sentire un ronzio insistente nell’orecchio fino a quando, improvvisamente, perde quasi del tutto l’udito. In seguito ad un test dell’udito, Ruben scopre che le sue orecchie hanno subìto un trauma e che ora riescono a percepire rispettivamente il 28% e il 24% dei suoni che lo circondano. Una delle soluzioni suggerite dal medico è l’innesto di un impianto cocleare, tecnologia molto costosa e non coperta dall’assicurazione sanitaria. Quando Lou viene a sapere della sua situazione decide, nonostante le insistenze di Ruben, di smettere immediatamente con le esibizioni, preoccupandosi inoltre per la sua sobrietà, essendo il ragazzo un ex tossicodipendente. Il suo sponsor consiglia così al ragazzo un rifugio per tossicodipendenti sordi in via di recupero, gestito da un uomo di nome Joe (Paul Raci), che cercherà di aiutare il ragazzo ad accettare la sua disabilità.

I wonder… all these mornings you’ve been sitting in my study, have you had any moments of stillness? Because you’re right, Ruben. The world does keep moving, and it can be a damn cruel place. But for me those moments of stillness, that place, that’s the kingdom of God. And that place, will never abandon you.

Presentato in anteprima al Toronto International Film Festival il 6 settembre 2019, Amazon Studios ha acquisito i diritti di distribuzione di Sound Of Metal una settimana più tardi, distribuendolo, con un numero limitato di copie in alcune sale cinematografiche statunitensi il 20 novembre 2020 e poi in streaming su Prime Video il 4 dicembre dello stesso anno.
Il film nasce da un’idea del regista e sceneggiatore Derek Cianfrance (Blue Valentine, Come Un Tuono), un documentario mai finito dal titolo Metalhead che ruota attorno alla vita di un batterista affetto da acufene, e poi “regalato” al collega Darius Marder, co-sceneggiatore nel suo Come Un Tuono.
Gran parte del cast comprende attori non professionisti provenienti dalla comunità sorda, e lo stesso Paul Raci (candidato agli Oscar nella categoria attore non protagonista), figlio di genitori sordi, non aveva mai avuto ruoli di questa importanza prima di questo.
Girato in sole quattro settimane, Sound Of Metal è riuscito ad ottenere ben sei nomination agli Oscar: miglior film, miglior attore (Riz Ahmed), miglior attore non protagonista (Paul Raci), miglior sceneggiatura originale, miglior montaggio e miglior sonoro, rivelandosi una delle sorprese più grandi di questa edizione 2021.

IL SUONO DEL SILENZIO


And in the naked light, I saw
Ten thousand people, maybe more
People talking without speaking
People hearing without listening
People writing songs that voices never share
And no one dared, disturb the sound of silence

The Sound Of Silence – Simon & Garfunkel

Nei panni di Ruben, Riz Ahmed riesce brillantemente nel delicato compito di trasmettere allo spettatore il disagio e la frustrazione di un ragazzo che di colpo si trova completamente alienato dal mondo che lo circonda.
Grazie ad un uso sapiente del sonoro, Marder immerge lo spettatore all’interno del processo di deterioramento dell’udito del protagonista, processo che si affianca a quello di distaccamento dal mondo che lo circonda, in un’esperienza globale di ricostruzione che non coinvolge soltanto l’udito del ragazzo.
La straordinaria performance di Ahmed viene così impreziosita ulteriormente da un paesaggio sonoro molto complesso che esula dalla convenzionale esperienza cinematografica risultato della commistione tra immagini e suoni, e che trova ancor più significato nelle sequenze di totale silenzio.
Questa alterazione del suono, inizialmente percepito dallo spettatore come lontano ed ovattato, aiuta inoltre lo spettatore a comprendere meglio, permettendogli di concentrarsi sulle emozioni dei protagonisti piuttosto che sulle loro parole, quanto accaduto a Ruben e Lou nei quattro anni precedenti, in un percorso di vita che li ha visti superare i propri problemi personali anche e soprattutto grazie alla forza della loro relazione. Non sorprende quindi se una delle scene più forti sia proprio quella che vede i due protagonisti alle prese con la decisione circa l’ingresso di Ruben nella comunità di ex tossicodipendenti sordi suggeritagli dal suo sponsor Hector, che prevede la separazione forzata dei due per un periodo di tempo indeterminato e che quindi causa nel ragazzo una sorta di crisi di astinenza stavolta dettata dal bisogno di sentirsi amato, e soprattutto sostenuto, dall’unica persona al mondo a cui tiene davvero.
Inizialmente Ruben trova i momenti in compagnia degli altri membri del gruppo strani, inquietantemente silenziosi. Man mano che però il ragazzo comincia a conoscere meglio le persone accanto a lui i suoi modi diventano progressivamente meno febbrili, l’inquietudine viene sostituita da un crescente senso di pace e, una volta superato lo scoglio iniziale dell’improvvisa disabilità e del panico ad essa legata, ciò che resta è un profondo senso di appartenenza forse mai sperimentato prima d’ora dal ragazzo, se non nei momenti passati insieme a Lou dentro e fuori dal palco.
Essendo Ruben un musicista è facile simpatizzare con lui nella sua missione di recupero dell’udito, e sebbene questo vada contro i principi base proposti da Joe all’interno del suo gruppo, che non vede la sordità come una reale disabilità bensì come un’opportunità di apprezzare al meglio questa onnipresente immobilità percettiva, la prima impressione spettatoriale sarà sempre e comunque quella di un uomo ingiusto e irragionevole, che in qualche modo sta voltando le spalle ad una persona in difficoltà.
Ogni dubbio o perplessità verrà comunque spazzato via nelle sequenze finali del film, che verranno analizzate a parte nel paragrafo seguente così da permettere a chi ancora non ha visto il film di non incappare in possibili spoiler.

BREVI CONSIDERAZIONI (SPOILER) FINALI


Una domanda che rimane senza risposta nel film sta nell’inadeguata preparazione da parte dei medici in merito alle reali possibilità di recupero offerte da un impianto cocleare, che di fatto non sostituisce l’orecchio nelle sue funzioni bensì ne simula il comportamento, spingendo il cervello a credere di percepire il suono, ma lasciando le orecchie nella medesima condizione di deterioramento. In altre parole, con un’adeguata conoscenza del post-operatorio difficilmente Ruben avrebbe speso una cifra così elevata per ottenere un impianto che in nessun modo gli avrebbe permesso di riacquisire perfettamente l’udito e quindi di tornare a suonare come prima. Una forzatura narrativa che sicuramente balzerà all’occhio dello spettatore, ma che in ultima analisi non va a inficiare l’impeccabile lavoro di Marder.
Ancora una volta è la performance di Ahmed a farla da padrona, in una continua alternanza tra tenacia e fragilità che si alternano costantemente per una continua ricerca del predominio l’una sull’altra.
I momenti in compagnia di Lou e suo padre (Mathieu Amalric) a Parigi, che per un attimo sembrano trasportare lo spettatore all’interno di un un film completamente diverso da quello che stava guardando fino a poco prima, sanciscono definitivamente l’accettazione di Ruben in merito a due questioni: la sordità e il rapporto con Lou. Quel legame mostrato fin dalle sequenze iniziali del film giunge qui alla sua naturale conclusione, non perché consunto dalla recente separazione forzata, bensì perché tutti e due raggiungono la giusta consapevolezza in merito alla natura della loro relazione: un’ancora di salvezza in un momento in cui entrambi avevano bisogno di un appoggio emotivo per non sprofondare nel baratro della depressione, e ora soltanto un ostacolo al raggiungimento della felicità.
Lou comincia a grattarsi il braccio pieno dei segni di un passato fatto di autolesionismo, e in quel momento Ruben realizza di dover andare avanti, da solo, lasciando l’unica persona che ama per non rischiare di farla ricadere – ricadendovi lui stesso – in quella spirale di autodistruzione che molto probabilmente sta all’origine del loro rapporto di interdipendenza. Un addio strappalacrime che nasconde in realtà una stupenda dichiarazione d’amore tra due persone che, grazie a questo sentimento, sono riuscite insieme a trovare la forza di reagire, ma che purtroppo hanno anche trovato nella dipendenza l’uno dall’altro l’annientamento di loro stessi.
La realizzazione in merito alla sua sordità arriva quindi di conseguenza. Ogni sguardo cupo e terrorizzato di Ruben porta lo spettatore un passo più giù verso l’abisso, insieme a lui e al rifiuto di accettare una realtà oramai immutabile, fino al raggiungimento di una totale acquiescenza che sfocia nella quiete di un flebile attimo, silenzioso, di intimo e claustrale appagamento.


Sound Of Metal è la classica (bella) sorpresa inaspettata: una pellicola low budget con attori perlopiù sconosciuti (fatta eccezione per Ahmed e la Cooke), scritta molto bene – sebbene con qualche sequenza un po’ artificiosa sul finale –  e impreziosita da un montaggio sonoro che rende la pellicola un’esperienza unica nel suo genere.
Un’ottima occasione per riflettere sulla percezione della sordità, sia dal punto di vista delle persone che ne sono affette, sia da quello della società che le circonda, nonché una puntuale rappresentazione di ciò che significa doversi abituare a marciare ad un ritmo diverso da quello a noi familiare, con la consapevolezza che quella particolare armonia, quella che ha scandito ogni momento della nostra vita fino a ieri, resterà per sempre inascoltata.

 

TITOLO ORIGINALE: Sound Of Metal
REGIA: Darius Marder
SCENEGGIATURA: Darius Marder, Abraham Marder

INTERPRETI: Riz Ahmed, Olivia Cooke, Paul Raci, Lauren Ridloff, Mathieu Amalric, Tom Kemp
DISTRIBUZIONE: Amazon Prime Video
DURATA: 120′
ORIGINE: USA, 2019
DATA DI USCITA: 04/12/2020

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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