Star Trek: Discovery 2×12 – Through The Valley Of ShadowsTEMPO DI LETTURA 5 min

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“The present is a veil between anticipation and horror. Lift the veil, and madness may follow.”

La tendenza di Star Trek: Discovery di giocare con le citazioni, gli omaggi e le strizzatine d’occhio al glorioso passato della saga, e in particolare alla serie classica, è ormai ben nota. A volte si tratta di spudorato fanservice poco utile ai fini della trama, come la comparsata del primo ufficiale Number One qualche episodio fa. Altre volte, questi rimandi al ben più ampio universo narrativo creato da Gene Roddenberry e ampliato da chi gli è succeduto dimostrano una loro utilità ai fini della trama oppure, ed è il caso di “Through the Valley of Shadows”, contribuiscono a caricare determinati eventi di ulteriore pathos e a definire meglio il carattere dei personaggi.
Prendiamo il capitano Christopher Pike. E’ un personaggio che i trekker di vecchia data non possono non conoscere, essendo stato il protagonista del primo pilot del 1964 e il motore della narrazione nel celebre doppio episodio “The Menagerie” del 1966, ma che di fatto aveva avuto molto meno spazio sullo schermo rispetto ai suoi successori, da Kirk a Picard, dalla Janeway ad Archer. La sua introduzione nella seconda stagione di Discovery era parsa dunque un’occasione ghiotta per approfondire una figura sì importante nella mitologia trekkiana, ma relegata fino ad allora a un ruolo di secondo piano. Peccato che, episodio dopo episodio, la narrazione si sia focalizzata sempre più (ahinoi!) su Michael Burnham e su Spock e così Pike ha avuto pochi momenti davvero di gloria, rimanendo per lo più confinato su una poltrona di comando a impartire ordini e a dispensare commenti.
Con il dodicesimo episodio, le cose cambiano e la missione su Boreth per recuperare un prezioso cristallo temporale diventa l’occasione per concedere al capitano l’atteso momento di gloria in solitaria. Una gloria, però, che si vena ben presto di amarezza, perché per mettere le mani sul minerale in questione deve scrutare nel proprio futuro e abbracciare un destino orrendo, che i veterani della saga già conoscono proprio grazie al succitato “The Menagerie”. E allora il personaggio di Christopher Pike diventa l’emblema del sacrificio, se non addirittura una figura cristologica che accetta il calice amaro porto dal fato per il bene dell’intera vita senziente della galassia e si immola pronunciando con orgoglio quelle poche parole che riassumono tutta la sua caratura morale: “You’re a Starfleet Captain. You believe in service, sacrifice, compassion in love. I’m not going to abandon the things that make me who I a me because of a future that contains an ending that I hadn’t foreseen for myself”. Inutile dire che questa consapevolezza del personaggio getterà una luce nuova e più amara sulle sue prossime azioni, perché non solo sappiamo cosa gli accadrà, ma anch’egli ne è consapevole.
Ma anche per Michael arriva il momento di abbracciare il proprio destino, ossia di accettare la propria fondamentale importanza nella lotta contro l’IA ribelle. Come dice Spock, lei è la variabile che il Controllo non può prevedere, è la scheggia impazzita che scombussola i suoi piani e, di conseguenza, la chiave per poter sconfiggere il super-computer. Ed è comprensibile che abbia qualche istante di tentennamento, che dubiti dei segnali cosmici e del messaggio che essi dovrebbero trasmettere. Meno comprensibile è perché lei e l’altrettanto intelligentissimo Spock debbano cadere in un vistosissimo trappolone dell’IA: va bene la pietà, va bene la volontà di salvare i superstiti della nave della Sezione 31, ma se il computer di bordo ha gettato tutto l’equipaggio nello spazio siderale e c’è un solo sopravvissuto, chiunque si insospettirebbe e adotterebbe maggiori precauzioni. Ma a questo punto è ormai più che chiaro come la scrittura di Discovery punti ai momenti action più che alla raffinatezza e alla verosimiglianza.
Ma in “Through the Valley of Shadows” c’è spazio per altri personaggi, oltre a Pike e a Michael. Il ritorno di L’Rell, che potrebbe sembrare un’inutile aggiunta, permette invece ad Ash di risolvere un paio di questioni lasciate in sospeso alla fine di “Point of Light”, anche se con la solita superficialità e sbrigatività imposte dal ritmo della serie e dalla durata limitata del tempo a disposizione sullo schermo. Se sul versante sentimentale tutto si risolve in un banale dialogo in cui la cancelliera Klingon accetta che l’ex-compagno sia ancora innamorato di Michael, su quello parentale i due hanno la possibilità di accertarsi che il loro figlio, il neonato albino, non solo sta bene ma è anche consapevole di chi siano i suoi genitori ed è cresciuto moltissimo negli ultimi mesi, grazie al potere dei cristalli temporali del pianeta Boreth, diventando il capo dei guardiani del tempo. Un incontro diretto tra Ash, L’Rell e Tenavik (questo il nome del figlio) sarebbe stato più drammatico e intenso, ma per una volta le ragioni che l’hanno reso impossibile sono ben spiegate nell’episodio e reggono.
Ben più inutile. invece, risulta la storyline dedicata a Stamets e Hugh. Dopo aver liquidato in un paio di dialoghi l’unico spunto di riflessione serio che il ritorno del dottor Culber si portava appresso, quello dell’identità, la loro vicenda si è ormai ridotta a un susseguirsi di gelosie, ripensamenti, struggimenti, sospiri, sguardi tra i due… e consigli amorosi dell’ingegnere Reno, perché ogni tanto gli sceneggiatori si ricordano di questo nuovo personaggio introdotto nella season premiere e cercano di sfruttarlo. Continua a sfuggire la necessità di sprecar tempo, in una space opera che potrebbe (e dovrebbe) trattare ben altri temi, dietro le paturnie amorose di due individui, se non per il puro e semplice gusto di dar loro qualcosa da fare sullo schermo per non tenerli nell’ombra. Ma considerando che anche Tilly ormai è ridotta a una comparsa e nulla di più, perché non fare lo stesso con l’astromicologo e il suo ex-compagno? Mah, i misteri della vita…

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Christopher Pike e il suo sacrificio
  • Michael accetta il suo destino…
  • Ritorno dei Klingon…
  • … non prima di essere caduta nel trappolone del Controllo come una bimbetta sprovveduta
  • … anche se certe questioni sono gestite con la solita sbrigatività
  • Perché dedicare tanto spazio a Stamets e Hugh?

 

A prima vista “Through the Valley of Shadows” potrebbe sembrare un episodio di passaggio, se non addirittura un filler, e forse in buona parte lo è; ma se permette di vedere Pike alle prese col proprio amaro destino e di dare uno sguardo fugace al monastero Klingon su Boreth, ben venga. Certo, senza certe sottotrame sentimental-romantiche sarebbe stato un episodio ancora più godibile, ma non si può avere tutto dalla vita.

 

Perpetual Infinity 2×11 ND milioni – ND rating
Through The Valley Of Shadows 2×12 ND milioni – ND rating

 

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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.

1 Comment

  1. La cosa più irritante di questo episodio è stata lo sviluppo della scena tra il ‘nanificato’ numero uno e Michael. In pratica, scopriamo che i naniti possono uscire dal corpo e possedere la loro vittima, scopriamo che praticamente Michael era bella che fregata da almeno un paio di scene, ma ehi!, bisogna pur che il cattivo perda, no?
    E così ne esce fuori una scena priva di qualunque pathos, di una banalità sconcertante.

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