Passato il giro di boa, Stateless per la prima volta riesce ad andare oltre la mera sufficienza, vuoi per un’accelerazione nella trama che non fa mai male, vuoi perché finalmente racconta la storia che doveva raccontare sin dal principio. Chiaramente, per non smentire quanto fatto nella prima metà della serie, la confusione e la mancanza di spiegazioni circa Sofie rimangono e regnano sovrane, però il focus di “Run Sofie Run” è altrove e, soprattutto, su altri character che hanno chiaramente più da dire della protagonista.
Javad: “Why do you lie about who you are? In my country, it is normal to tell lies to the authority. You know, it’s a dictatorship. But here… You’re a white girl. I don’t understand.”
Sofie: “It isn’t safe for me to say who I really am.”
Javad: “Why not?”
Sofie: “Because someone might find me.”
Javad: “Mmm. So you would rather be in prison than tell the truth?”
Sofie: “Yes, if it… it meant that they would deport me, yes.”
Javad: “So all you want to do is leave, and all we want to do is stay.”
Detta in maniera più franca possibile: Sofie Werner è l’antagonista della serie. Il character interpretato da Yvonne Strahovski, pur risaltando ed essendo riconosciuta sulla carta come la protagonista della serie, è scritto in una maniera estremamente superficiale ed è costruito per lo più da flashback ingombranti e uno sguardo generalmente vuoto. La schizofrenia del personaggio emerge solo per il distaccamento dalla realtà che raggiunge dei picchi solo in alcuni momenti, per il resto le sue azioni ed i suoi atteggiamenti non hanno granché senso. La conseguenza di tutto ciò è una palese mancanza di empatia nei confronti di un character che ha chiaramente un problema comportamentale ma ne ha un altro ben più grande dal punto di vista creativo e di scrittura.
Tutto quello che non va in Sofie Werner però funziona in Claire Kowitz (e anche in Sandford) che, vuoi anche per una più che discreta interpretazione di Asher Keddie, sulla carta dovrebbe ricoprire più il ruolo da villain. Le conversazioni spesso velate e lo sguardo sofferente, ma sempre seguito da una frase autoritaria degna del ruolo che rappresenta, sono dei chiari segnali di una tridimensionalizzazione ben più elaborata di quella di Sofie e da sole bastano a risollevare la qualità dello show.
Lo stesso, come detto, vale anche per Sandford perché sin da subito ha dimostrato una discreta conflittualità tra il “(non) dire” ed il “fare”. Dopo il tentativo di fare la cosa giusta non andato a buon fine, in questo episodio emerge ancora di più il dilemma interiore che lo porta alla fine a denunciare la sorella ed il piano per far fuggire alcuni migranti. C’è del chiaro dolore nel personaggio ma c’è anche una ferma credenza nelle istituzioni, nonostante quanto abbia visto finora porti ad avere un ragionevole dubbio.
In tutto ciò è palese che la narrazione di “Run Sofie Run”, ma anche più in generale della serie, si erga su un certo livello qualitativo quando la protagonista non sia in scena e, sfortunatamente, sprofondi alla prima occasione di propinare l’ennesimo flashback allo spettatore. Anche se in questo episodio in stile Prison Break bisogna ammettere che ci siano più alti che bassi.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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The Right Thing 1×03 | ND milioni – ND rating |
Run Sofie Run 1×04 | ND milioni – ND rating |
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.