Mina: “We got our Visa?”
Dopo il finale ad alta intensità emotiva del precedente episodio, i personaggi si svegliano ognuno nella sua solita, squallida situazione, in un clima quasi da dopo sbronza.
Sofie è ormai preda del più completo delirio, il suo problema mentale dilaga. I danni provocati alla sua già fragile psiche dalla lunga permanenza al campo profughi si vedono bene nelle scene in cui immagina di rifare il saggio e di vincere il Transformation Trophy. Se Stephen King decidesse di rielaborare a modo suo l’effetto provocato su un bambino al ritorno da una lunga vacanza, magari senza tv, sempre indossando gli zoccoli, nel vedere lo schermo del televisore di casa tanto grande e nel sentire le scarpe strette, al momento di indossarle per tornare a scuola, probabilmente scriverebbe qualcosa del genere. Le scene di sogno – delirio non hanno nulla né di magico né di consolatorio, creano un effetto grottesco.
Per fortuna la sua storia si conclude quasi bene: la sorella, con tenacia e determinazione, riesce ad aggirare ostacoli di privacy, anche quelli più assurdi, a ritrovarla e a farla ricoverare in clinica psichiatrica per le cure del caso.
La conclusione della vicenda di Ameer invece spezza il cuore. Qui l’assurdità tocca il suo apice: risulta praticamente colpevole di essersi difeso, perché avendo ripreso i suoi soldi al trafficante che glieli aveva rubati, il “mercante di schiavi” risulta lui. Non senso per non senso, egli decide di non dichiararsi padre di sua figlia per salvare la povera Mina e provare a darle un futuro migliore. Non ci sono parole umane per commentare tanto strazio. Davanti alla durezza e alla potenza di questa storia, risulta davvero melensa e fuori luogo la scena finale con la ragazzina in riva al mare, mentre volano i gabbiani. Occorreva il coraggio di portare sino in fondo la scelta di narrare vicende per nulla edificanti e consolatorie (sarebbe bastato, ad esempio, vedere Mina accolta dalla famiglia affidataria).
Per quanto riguarda i tutori della legge dell’ordine, o meglio i fautori del sistema, Cam dimostra come la vita al centro di detenzione imbruttisca e peggiori tutti quanti. Nei suoi confronti, lo spettatore può provare lampi di pietà, mentre ciò non succede nelle scene in cui le altre guardie sono mostrate intente a ubriacarsi, per quanto si capisca anche qui il loro disagio. A livello superiore, per così dire, Claire e Genevieve se la cavano con disinvoltura, almeno sino alla prossima crisi, come fa intendere il licenziamento del direttore. L’arte del volgere tutto a proprio favore, del trovare in tutto il lato positivo, a quanto pare, non è prerogativa esclusiva degli statunitensi. Il sistema, comunque, sfrutta e danneggia anche chi lo serve e lo perpetua. Non per niente, il titolo della puntata potrebbe essere ricollegato al settimo girone dell’inferno dantesco, dove ci sono i violenti, non solo assassini e predoni (violenti contro il prossimo), ma anche i suicidi (violenti contro se stessi) e di violenza contro se stessi e gli altri se ne vede parecchia, in un campo di detenzione come quello in cui sono ambientate le vicende narrate.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
Panis Angelicus 1×05 | ND milioni – ND rating |
The Seventh Circle 1×06 | ND milioni – ND rating |
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Tags:
Casalingoide piemontarda di mezza età, abita da sempre in campagna, ma non fatevi ingannare dai suoi modi stile Nonna Papera. Per lei recensire è come coltivare un orticello di prodotti bio (perché ci mette dentro tutto; le lezioni di inglese, greco e latino al liceo, i viaggi in giro per il mondo, i cartoni animati anni '70 - '80, l'oratorio, la fantascienza, anni di esperienza coi giornali locali, il suo spietato amore per James Spader ...) con finalità nutraceutica, perché guardare film e serie tv è cosa da fare con la stessa cura con cui si sceglie cosa mangiare (ad esempio, deve evitare di eccedere col prodotto italiano a cui è leggermente intollerante).