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“Vorrei che questo diventasse il posto più bello di Ostia. Vorrei che la gente ci venisse da fuori, capito?”
Così Aureliano/Alessandro Borghi, con occhi disperati, disillusi e persi, parla a Isabel delle sue speranze e dei suoi desideri. In queste parole c’è tutto Aureliano, un ragazzo di strada ma dai sentimenti buoni sotto i capelli ossigenati e i tatuaggi maschi, e tutta l’anima nascosta di Suburra che non è solo e soltanto una serie sul complicato rapporto tra Mafia-Stato-Chiesa nella Roma di questi tristi anni ma anche e sopratutto un romanzo di formazione. Al centro delle prime puntate ci sono la crescita e la maturazione di tre personaggi estremamente diversi che hanno però una caratteristica comune: il riscatto. Spadino, Aureliano e Gabriele vogliono prendere le redini della loro vita, migliorarla anche se per fare ciò devono sporcarsi le mani (in “Buon Appetito” Lele si trova di fronte ad una scelta difficile: salvare suo padre o ucciderne un altro, nell’episodio precedente Spadino va contro la sua famiglia, salvando la vita ad Aureliano, reo di aver ucciso un membro della famiglia Anacleti), mettono da parte ogni tipo di etica e di morale per dar spazio alle loro ambizioni. Mentre Roma “brucia” metaforicamente si mette in scena il dramma di tre personaggi con caratteri diversi e provenienti da mondi differenti. La Capitale è crepata da tutti i vizi di questo mondo, corruzione, ambizione, perversione, ne sono testimonianza non solo la sigla della serie in cui i sanpietrini sono incisi con la scritta Suburra ma anche l’incipit dello show dove un Monsignore partecipa ad un’orgia. In questa terra vergata con il sangue i personaggi non possono che essere fragili, violenti, affamati di ricchezza e potere.
Il personaggio interpretato da Borghi – che porta con sé alcune rifrazioni del cinema di Caligari e del suo “Non essere cattivo” -, lingua trascinata e con accento tipicamente vernacolare, rappresenta sicuramente il perfetto antieroe contemporaneo in bilico tra le efferatezze più crudeli (il grilletto facile) e le tenerezze più delicate (l’amore per il cane, la dedizione nei confronti degli amici), in balia delle emozioni più umane (il rapporto difficile con il padre, quello d’amicizia con Gabriele e Spadino) e di quelle più bestiali. Aureliano è un personaggio dall’anima complessa, pronto a dire grazie (il dialogo con Spadino), ad aiutare un sodale (ruba in casa del Monsignore) ma anche animato da un odio struggente nei confronti del padre: non vuole diventare come lui (“Meno male. Per questa sera ce lo siamo levato dal cazzo. Questo è il giorno fisso della serata con la puttana [..]. Mo hai capito perché con Isabel mi prende male? Perché non voglio diventare come lui”) eppure vuole sentire il suo amore. Mentre anela al raggiungimento di un Qualcosa (trova nella casa dell’uomo di Chiesa delle carte che gli possono tornare utili), diventa sempre più disumano, disgregandosi sempre più. Nello stesso momento in cui crede di aver scoperto il Santo Graal sta per perdere, per mano di Gabriele, il padre tanto odiato e tanto amato – con questa scena dolorosa inizia e finisce l’episodio costruendosi come un flashback.
Aureliano: “Perché non mi hai ammazzato Spadino?”
Spadino: “Non lo so”
Aureliano: “Ma che cazzo di risposta è non lo so?”
Aureliano: “Ma che cazzo di risposta è non lo so?”
Spadino: “[…] Mi starai simpatico”
Spadino è sicuramente uno dei personaggi più interessanti dello show. Lo zingaro proviene da una famiglia immersa in un affascinante sfarzo barocco che lo fagocita e ne annienta l’umanità; si barcamena tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere. “Non sei neanche capace di prendere moglie. Tu ti devi sposare questa cazzo di Angelica”; Spadino non vuole prender moglie, fa di tutto per allontanarla da lui, con lei è freddo, distaccato, brutale, eppure viene richiamato, in lingua sinti, all’ordine: lo deve fare perché così deve essere (l’alleanza tra Anacleti e Sale è in pericolo; il fratello gli dice: “I Sale sono molto importanti. Abbiamo grandi progetti”). Uno dei momenti più godibili di “Buon Appetito” è proprio la giornata che i due passano insieme, tra un giro in macchina e un pranzo rubato, in cui il ragazzo prorompe con tutta la sua vitalità nomade e gagliarda in un “museo” di regole, ordine ed etichetta, Spadino riesce a convincere Angelica a sposarlo. E’ proprio quando sono da soli si intuisce che la loro unione potrebbe far del male a entrambi, la gioiosa irruenza di Angelica si scontra con la finta pudicizia e ritrosia di lui e a dilagare e il non detto e il sospeso. Dietro i gesti – o i suoi mancati gesti – e le parole – maschere d’argilla – del giovane uomo c’è qualcosa che vuole e deve nascondere e che trapela dal suo triste sguardo finale dopo che la ragazza lo saluta scendendo dalla macchina. Spadino è estremamente interessante non solo in relazione a se stesso (i suoi pensieri, le sue pulsioni) ma anche in rapporto agli altri personaggi: è succube del fratello Manfredi, la promessa sposa genera in lui un forte conflitto che detona dentro la sua testa, l’ammirazione profonda per Aureliano nonostante facciano parte di due famiglie nemiche è vera e genuina.
A fare da collante tra i due c’è Lele – è lui che spinge Aureliano e Spadino a parlarsi -, figura che non si è ancora scoperta totalmente in questi primi quattro episodi: tentennante e in perenne crisi il ragazzo è a metà tra il male e il bene, tra la “legalità” (il padre è poliziotto, è studente universitario con un avvenire meraviglioso) e l’illegalità (Samurai gli ordina di uccidere il padre di Aureliano pena la morte del suo), tra il buio (di notte fredda un uomo che gli potrebbe essere genitore) e la luce (di giorno fa una vita all’apparenza normale). E’ stato lui a riportare a casa Aureliano e il padre, Tullio Adami, lo ringrazia dicendogli “Io ti sono debitore”. In queste parole c’è tutta la drammaticità cinica di Suburra: mentre Lele riceve la riconoscenza di un uomo incapace di essere padre sta pensando come e se uccidere l’uomo che ha di fronte, mentre Aureliano si fa in quattro per aiutarlo, derubando il Monsignore, lui sta per uccidere suo padre. Suburra gioca a scacchi con i suoi protagonisti, in una partita in cui vittima e carnefice si scambiano i ruoli in cui non ci sono né vincitori né vinti, ma solo disperate pedine in mano ad una forza più grande. La drammaturgia di questa serie che si allinea al filone di cui fanno parte Gomorra, Romanzo Criminale e The Young Pope usa le vite di questi poveri cristi, carne da macello, quasi abitanti dell’ultimo gradino della catena alimentare, li muove lungo tutto il litorale e non solo, li stringe con legami profondi per poi romperli senza nessun tipo di rispetto, fa compiere loro gesti terribili che li cambierà per sempre.
A fare da collante tra i due c’è Lele – è lui che spinge Aureliano e Spadino a parlarsi -, figura che non si è ancora scoperta totalmente in questi primi quattro episodi: tentennante e in perenne crisi il ragazzo è a metà tra il male e il bene, tra la “legalità” (il padre è poliziotto, è studente universitario con un avvenire meraviglioso) e l’illegalità (Samurai gli ordina di uccidere il padre di Aureliano pena la morte del suo), tra il buio (di notte fredda un uomo che gli potrebbe essere genitore) e la luce (di giorno fa una vita all’apparenza normale). E’ stato lui a riportare a casa Aureliano e il padre, Tullio Adami, lo ringrazia dicendogli “Io ti sono debitore”. In queste parole c’è tutta la drammaticità cinica di Suburra: mentre Lele riceve la riconoscenza di un uomo incapace di essere padre sta pensando come e se uccidere l’uomo che ha di fronte, mentre Aureliano si fa in quattro per aiutarlo, derubando il Monsignore, lui sta per uccidere suo padre. Suburra gioca a scacchi con i suoi protagonisti, in una partita in cui vittima e carnefice si scambiano i ruoli in cui non ci sono né vincitori né vinti, ma solo disperate pedine in mano ad una forza più grande. La drammaturgia di questa serie che si allinea al filone di cui fanno parte Gomorra, Romanzo Criminale e The Young Pope usa le vite di questi poveri cristi, carne da macello, quasi abitanti dell’ultimo gradino della catena alimentare, li muove lungo tutto il litorale e non solo, li stringe con legami profondi per poi romperli senza nessun tipo di rispetto, fa compiere loro gesti terribili che li cambierà per sempre.
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“Buon Appetito” è un buon episodio, ha sicuramente gettato le basi per i prossimi ma c’è qualcosa di troppo – la parte più forte è sicuramente quella che vede come protagonisti Spadino e Aureliano. Ci sono figure ancora non completamente riuscite (Gabriele) come anche personaggi meno utili nell’economia del gruppo (Amedeo Cinaglia e Sara Monaschi). L’unica cosa da fare è vedere come proseguirà per comprendere se questo è uno show riuscito o una possibilità mancata.
Cani Arrabbiati 1×03 | ND milioni – ND rating |
Buon Appetito 1×04 | ND milioni – ND rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.