Non si pensava possibile e, invece, il terzo episodio di The Good Fight fa capire una cosa: la corsa sembra essere giunta al termine.
L’assenza di Delroy Lindo e Cush Jumbo (quest’ultima al momento protagonista di The Beast Must Die), nonostante le loro storylines non spiccassero per originalità, pesa come un macigno e nell’aria aleggia lo spettro della ripetitività.
Non basta spostare il riflettore su Marissa e il suo sprint surreale verso l’avvocatura, come non basta introdurre un nuovo personaggio che, per ora, non riesce a bucare lo schermo.
The Good Fight sembra essersi arenato e, per la prima volta, presenta un episodio sottotono, sotto la media e a tratti soporifero.
MY LITTLE SECRET CLUB
Con l’abbandono del cast da parte di Cush Jumbo, era inevitabile che la palla passasse nelle mani di Marissa Gold, la quale si appropria del minutaggio dedicato a Lucca Quinn ma non riesce ad accaparrarsi una storyline interessante.
Bisogna soprassedere ulteriormente sulla velocità con cui Marissa si stia avvicinando alla carriera da avvocato, come se solamente la sua intelligenza e determinazione fossero sufficienti a farle indossare la toga.
L’ormai ex detective si ritrova a dover scegliere tra il suo lavoro presso la Reddick & Lockhart e un posto come assistente legale nel club segreto dell’idealista Judge Wackner.
Nonostante il cambio di ambientazione sia una boccata d’aria fresca, sarebbe meglio procedere a piccoli passi con l’investitura di Sarah Steele a personaggio principale, dato che ancora non sembra pronta per compiere il grande salto.
SECTION 230
“And The Court Had A Clerk” è, inoltre, occasione per riesumare i tanto adorati corti animati di The Good Fight, che spiegano termini e concetti legali con ironia musicata. Questa volta, a fare da protagonista troviamo la Sezione 230 del Communications Decency Act, la quale recita così: “Nessun fornitore e nessun utilizzatore di servizi Internet può essere considerato responsabile, come editore o autore, di una qualsiasi informazione fornita da terzi”.
In poche parole, questa regola stabilisce che i social network e, più in generale, qualsiasi piattaforma internet non è responsabile di ciò che viene pubblicato al loro interno dagli utenti. In caso, dunque, di notizie/post/commenti controversi, nessuno poteva citare in giudizio Facebook, Twitter e compagnia bella.
Lo studio legale Reddick & Lockhart prova a sfatare questo “divieto”, denunciando ChumHum (loro ex cliente, portato proprio dalla stessa Diane) e basandosi sulla non equità di trattamento tra piattaforme internet e mezzi di informazione cartacei, per esempio i giornali.
Ancora una volta, i coniugi King dimostrano di essere sempre aggiornati e di strizzare l’occhio a problematiche attuali, introducendo un’altra battaglia stile Davide e Golia.
KURT AND DIANE VS THE FBI
Se da un lato la nuova associata Carmen Moyo è implicata in un affare più grande di lei (anche se troppo scopiazzato dalla serie madre, The Good Wife), dall’altro lato anche Kurt si ritrova coinvolto in un duro faccia a faccia con l’FBI. Questo non è sicuramente il primo scontro tra Kurt, Diane e l’agenzia governativa e, proprio per questo, ci si aspettava qualcosa in più. Se dopo cinque stagioni, si comincia a percepire una sorta di ciclicità e ripetitività, forse sarebbe il caso di raddrizzare il tiro e capire quale sia la direzione da prendere.
Questo terzo episodio non brilla per originalità e pare, più che altro, un mix delle stagioni precedenti.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Un nuovo associato, un cliente difficile che potrebbe mettere a repentaglio la reputazione dello studio, un nuovo scontro tra Diane e l’FBI. The Good Fight continua a navigare in acque sicure, senza scorgere niente di nuovo all’orizzonte. Questa potrebbe essere davvero l’ultima traversata per lo spin-off di The Good Wife che, comunque, ha tenuto banco in maniera egregia. Sarebbe il caso, dunque, di andarsene a testa alta.
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Se volete entrare nelle sue grazie, non dovete offendere: Buffy The Vampire Slayer, Harry Potter, la Juventus. In alternativa, offritele un Long Island. La prima Milf di Recenserie, ma guai a chiamarla mammina pancina.