L’ottava puntata di The Stand non illude le aspettative chiudendo la stoyline principale, a parte un avvenimento che chiaramente verrà svelato solo nel nono ed ultimo episodio. In definitiva, però, i giochi sono chiusi e si possono tirare le somme di quello che era uno degli adattamenti più attesi dagli amanti di King e delle storie ambientate in un mondo post apocalittico.
Come la precedente puntata, “The Stand” è stata diretta da Vincenzo Natali che ha avuto il compito di portare sul piccolo schermo i principali avvenimenti ricchi di rilevanza ed azione.
IL PROCESSO
Dopo essere partiti in quattro, solo Ray, Larry e Greg raggiungono New Vegas, scortati da Lloyd che è la vera scoperta della puntata. Per i tre viene allestita una farsa, un falso processo che ha come compito quello di spaventare sia loro che i presenti. Greg, razionale e amante della sociologia, afferma quel che si sperava di vedere da quando “i cattivi” sono comparsi in tutto il loro splendore: non sono così diversi da chi si è radunato attorno alla casa di riposo abitata da Mother A., sono solo anime perse e spaventate che si sono fidate della persona sbagliata.
Lloyd è stato il primo a credere a Flagg, ridotto alla fame e chiuso in cella. Non è difficile immedesimarsi con la sua condizione e il modo in cui sarebbe morto se Randall non lo avesse fatto uscire da lì. Ma è anche il primo ad accorgersi che Flagg non è il benefattore che la propaganda allestita da lui e dalla sua cricca vogliono far credere.
Il ribaltamento nel suo personaggio arriva quando, terrorizzato, spara a Greg durante il processo, rendendosi conto quanto le parole dell’uomo fossero vere. Lloyd non si fida di Randall, non lo crede un nuovo Dio per bontà e misericordia. É più un demone al quale sta sfuggendo di mano la situazione. Una brutta situazione.
L’incontro tra Larry e Nadine è decisivo per la ragazza che, incinta ed emaciata, si rende conto di come è stata ridotta. Anche lei ha una storia simile a Lloyd, il suo legame con Randall è iniziato decenni prima e per questo motivo è più sottile e subdolo. Amber Heard (scelta per molti non azzeccata) si rivela invece essere giusta per la sua parte, ma il suo personaggio ha subito lo stesso destino degli altri nella New Vegas.
Gli abitanti della zona ad Ovest non hanno avuto lo stesso trattamento riservato alla controparte, che grazie a flashback e racconti della loro vita precedente all’epidemia hanno fatto breccia più facilmente nel cuore dello spettatore che non ha letto il libro dal quale la miniserie è tratta. L’analisi di Greg non è sbagliata, ma gli autori hanno scelto una via forse troppo semplicistica, quella del voler far per forza patteggiare per i bravi ragazzi.
L’unico spiraglio che possa far capire che le persone che si sono ritrovate a giurare fedeltà a Flagg sono persone comuni è l’uomo che è presente sia “all’esibizione” finale sia al processo. Bella pensata, ma la domanda rimane sempre la stessa: se avessero utilizzato, ad esempio, lo stesso tempo dedicato a presentare Stu per analizzare la storia di Trashcan Man, la serie avrebbe preso una piega psicologica più profonda?
FINAL DESTINATION
L’addio a New Vegas è esattamente come lo si aspettava dopo aver capito le dinamiche dell’hotel. Sopra le righe e dal retrogusto splatter. Come scelta stilistica è indubbiamente valida guardando l’esagerazione alla quale hanno puntato.
Ray e Larry vengono ritenuti dei traditori e per questo devono essere giustiziati. E le esecuzioni a New Vegas avvengono in grande stile, soprattutto da monito per gli altri. Rendere un’esecuzione pubblica, un grande show, è un chiaro segnale a tutti. Se tradite Flagg, questo è ciò che vi succede.
Ma non è abbastanza: le ultime parole di Larry risvegliano degli animi assopiti, creando il caos poco prima che il caos stesso raggiunga l’hotel. Trashcan Man ritorna, come un cagnolino fedele senza avere coscienza delle sue azioni, portando con sé un reattore nucleare che lo ha deteriorato a tal punto da avere la pelle fusa.
Arrivati alla penultima puntata si può affermare che è stato presentato un fedele adattamento dell’opera di King. A volte si è perso, è andato incontro a degli scivoloni, ma non per questo è un prodotto poco godibile.
WE NEED TO TALK ABOUT RAY
Ad inizio lavorazione per The Stand, quando sono iniziate ad uscire le prime indiscrezioni su sceneggiatura e scelte relative al casting, sono arrivate anche le prime lamentele.
La notizia più chiacchierata è sicuramente quella che riguarda Nick. Per il personaggio sordomuto non sono stati presi in considerazione attori con questa condizione. Lamentele che hanno portato ad altre lamentele ma tutto è sfumato in un battito di ciglia, come succede spesso in situazioni simili. Altra notizia che ha fatto storcere il naso (e non solo ai fan dell’opera originale) è il cambio di etnia di Larry e il gender-swipe che riguarda Ray.
Ralph, il personaggio originale nel libro, aveva una rilevanza particolare alla finalità della storia. Senza cadere in beceri spoiler, aveva un ruolo paragonabile a quello di Stu. Ma il libro ha un difetto riguardante i personaggi femminili: hanno poca visibilità, e se ad alcune è dedicato più spazio sono perlopiù donne che ricoprono il ruolo di casalinga, di traditrice, oppure muoiono, spesso in fretta. La storia è in mano ai protagonisti maschili. Teoricamente, cambiare il gender di appartenenza di Ralph avrebbe dovuto soppiantare questa mancanza.
Ad una puntata dal finale e con la morte di Ray si può parlare della questione avendo un quadro generale della serie nella sua totalità. Ray è un personaggio inutile. Tutte le caratteristiche di Ralph e il ruolo attivo che ricopriva all’interno della società sono state eliminate. Lei è di contorno: è colei che accompagna Mother A. in giro per la città e pattuglia la zona. Ha un ruolo marginale che ha continuato ad essere tale anche quando è stata scelta per andare a New Vegas. In “The Stand” non solo non ha nessuna utilità, ma è anche l’unica ad essere visibilmente spaventata dalla morte imminente. Mentre gli uomini che la circondano prendono di petto la situazione, morendo eroicamente.
Non è questo il luogo per fare un corso accelerato su come dovrebbe essere un personaggio femminile degno di nota, creato appositamente per sopperire certe mancanze originali, ma la via intrapresa dagli sceneggiatori è la peggiore.
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Conclusa la storyline principale manca da scoprire come Stu e Tom se la caveranno, ma l’attenzione è tutta rivolta all’ultima puntata sceneggiata da King stesso.
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.