Un ex detective relegato a lavorare come operatore del 911 cerca di salvare una persona in pericolo nel corso di una straziante giornata di rivelazioni e rese dei conti. |
Una Los Angeles attanagliata dal fuoco e dal fumo che rendono l’aria irrespirabile; un caos palpabile, esattamente come la tensione che permea l’intera stanza in cui Joe Baylor lavora; un continuo rimando ad un “domani” come se qualcosa di importantissimo dovesse avvenire da un momento all’altro. Questi gli elementi di partenza di The Guilty, nuovo thriller di Antoine Fuqua, uscito su Netflix il primo di ottobre e presentato in prima visione mondiale l’11 settembre al Toronto International Film Festival. Un poliziesco alla cui sceneggiatura ha lavorato anche Nic Pizzolato (True Detective), remake dell’omonimo film danese del 2018.
Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. (Giovanni, 8:32)
Il trailer e le immagini promozionali sembravano lasciar intendere una certa somiglianza tra The Guilty e Locke, film del 2013 di Steven Knight in cui appariva un unico personaggio in scena (Tom Hardy) ripreso all’interno di un’automobile impegnato in diverse telefonate e monologhi autoriflessivi.
Tuttavia The Guilty non segue esattamente questa strada: Jake Gyllenhaal non è l’unico personaggio in scena e la stanza del call center del 911 dove ha la postazione l’agente Baylor non è l’unico luogo delle riprese. Nonostante queste differenze i due prodotti hanno delle chiare somiglianze. I personaggi secondari che compaiono rimangono in scena per una manciata di secondi e quasi l’intero minutaggio riguarda le telefonate (di lavoro e non) fatte da Joe.
JAKE GYLLENHAAL CAPUT MUNDI
Il turno di notte coperto dall’agente sembra trascorrere relativamente tranquillo tra una telefonata di un ricco politico derubato da una prostituta e altre telefonate collaterali. A movimentare le acque arriva una telefonata di una donna, Emily Lighton (Riley Keough), che non ha modo di parlare liberamente lasciando dedurre sia stata rapita dal marito, Henry Fisher (Peter Sarsgaard). Joe prende fin da subito molto a cuore questo caso cercando da prima di mettere al sicuro i due bambini (Abby e Oliver), lasciati da soli a casa salvo poi concentrarsi su Emily nel tentativo di trarla in salvo.
Questo secondo passaggio risulterà decisamente molto più complicato considerate le poche informazioni a disposizione di Joe riguardo al veicolo, l’impossibilità di un supporto più concreto da parte della stradale (con diverse unità occupate a causa degli incendi) e la scarsa visibilità che il fumo sta causando sulle strade di Los Angeles. Si tratta di aspetti che elevano la percentuale di pathos della pellicola rendendola in certi punti molto ansiogena, soprattutto grazie ai cambi di telefonata che Joe cerca di rendere immediati per non perdere tempo prezioso, finendo per entrare in conflitto sia con alcuni colleghi del turno di notte, sia con la donna che si occupa di girare le informazioni raccolte dal 911 alle automobili della stradale.
L’assenza di altri attori in scena permette alla regia e alla fotografia di concentrarsi totalmente su Jake Gyllenhaal che porta in scena l’ennesima interpretazione d’altissimo livello restituendo allo spettatore una sensazione di drammaticità e tensione estrema. L’alterato stato mentale e fisico di Joe, dovuto all’udienza in tribunale il giorno successivo, amplifica ulteriormente la sensazione di nervosismo, altro aspetto su cui Gyllenhaal si fa trovare preparato come era lecito aspettarsi considerato il pedigree dell’attore.
La vera differenza con il prodotto originale danese del 2018 è essenzialmente collegato al finale ed alcune scelte in fase di sceneggiatura fatte da Nic Pizzolato. Il film di Gustav Möller ha preferito continuare a giocare con le informazioni e i colpi di scena fino alla fine del film, evitando di tracciare una chiara linea attorno alle scelte del proprio protagonista preferendo invece lasciarle intendere, consegnando di fatti il pallino della narrazione in mano al proprio pubblico.
Il film di Fuqua, invece, conclude il proprio percorso in maniera chiara e netta, riportando in maniera precisa le scelte intraprese da Baylor e cancellando qualsiasi zona grigia potesse rimanere. Un peccato, in realtà, perché mantenere un certo riserbo attorno all’etica e alla morale di Baylor, nonostante quanto affrontato durante la telefonata, avrebbe reso il personaggio ancor più bieco e doppiogiochista, ma decisamente molto più umano.
DISVELAMENTO PROGRESSIVO
Poco sopra si è menzionata un’udienza in tribunale. Parallelamente ai vari casi telefonici sottoposti a Joe, tra cui quello di Emily, l’agente si sta mentalmente preparando al fatto che il giorno successivo dovrà ritrovarsi in tribunale a testimoniare relativamente all’incidente per il quale è stato momentaneamente allontanato dalla strada e assegnato al call center del 911.
Anche in questo caso, dal punto di vista narrativo, lo svelamento progressivo risulta funzionale: piccoli indizi lasciati qua e là, un continuo detto non detto, in una storia che si lascia decantare in silenzio in attesa che venga portata alla luce dal diretto interessato.
Ma come è facile aspettarsi da una pellicola di questo genere, non tutto è come sembra e i colpi di scena (essenzialmente due) ribalteranno l’intera narrazione e il punto di vista del pubblico che si ritroverà costretto a ricostruire le proprie certezze inizialmente cementate attorno ad elementi fallaci.
La pellicola con Jake Gyllenhaal è una storia di redenzione attraverso cui il male cerca di essere espiato traslando su altre persone il proprio dolore; un film che tratta della progressiva presa di responsabilità per quanto compiuto prendendo in esame due personaggi e due avvenimenti totalmente diversi, ma accomunati dal fatto di essere due prodotti di un madornale errore. Se tale può essere definito.
I disperati salvano i disperati.
Ma qualcosa stona in The Guilty. Ancora una volta ci si ritrova di fronte ad un remake offuscato rispetto all’originale, nonostante la sceneggiatura in linea di massima sia stata seguita pedissequamente.
Il film di Fuqua ha verve, mordente e una carica ansiogena senza eguali, condita da colpi di scena ben attestati; in aggiunta a ciò, l’interpretazione di Jake Gyllenhaal impreziosisce l’intera opera. Allora cosa non funziona? La visione lascia un senso di insipidezza difficile da ignorare. Il prodotto non colpisce per l’originalità nonostante l’interpretazione e la regia riescano a sopperire alla mancanza. A pesare, inoltre, è anche il poco minutaggio dedicato alla ex moglie di Joe che viene circoscritta ad una veloce telefonata nei minuti finali del film, e che forse avrebbe meritato maggiore spazio, anche per umanizzare maggiormente il personaggio di Joe se gli fosse stato concesso di parlare con la figlia.
Altro fattore che fa storcere il naso è relativo al contesto: Los Angeles (e la California in generale) sono in crisi a causa degli incendi – elemento fondamentale della storia fin dall’inizio del film – ma che vengono progressivamente ignorati via via che la trama progredisce. La città avrebbe potuto essere cancellata dalla cartina geografica, ma Joe probabilmente non se ne sarebbe accorto. Un fattore che evidenzia l’esagerata (e immotivata) premura per la telefonata di Emily. Premura che tramuta la sensazione di ritrovarsi di fronte ad un poliziotto disposto a tutto pur di salvare delle vite in quella di avere di fronte un vero e proprio pazzo.
Un film di puro intrattenimento. Ma a volte basta quello.
TITOLO ORIGINALE: The Guilty REGIA: Antoine Fuqua SCENEGGIATURA: Nic Pizzolato; basato su The Guilty di Gustav Möller, Emil Nygaard Albertsen INTERPRETI: Jake Gyllenhaal; Voce: Ethan Hawke, Riley Keough, Eli Goree, Paul Dano, Peter Sarsgaard DISTRIBUZIONE: Netflix DURATA: 90′ ORIGINE: USA, 2021 DATA DI USCITA: 01/10/2021 |