“Per la maggior parte della gente, l’ospedale è un posto che fa paura. Un posto ostile, un posto dove accadono cose brutte. La maggior parte della gente preferisce la chiesa o la scuola o la propria casa. Ma io sono cresciuta qui. Mentre mia madre faceva il giro delle visite, imparavo a leggere nella galleria di chirurgia, giocavo nell’obitorio, disegnavo sulle vecchie cartelle del pronto soccorso. L’ospedale era la mia chiesa, la mia scuola, la mia casa. L’ospedale era il mio posto sicuro, il mio santuario. Io amo stare qui. Mi correggo: amavo stare qui.” (Meredith, Grey’s Anatomy 6×23)
Se nella scorsa puntata si era cercato un elemento rievocativo, come le ali del costume di Zola, per permettere a Grey’s Anatomy di stringere un rapporto ancor più forte con il proprio pubblico, questo episodio tenta una strada simile presentando non dettagli di collegamento, ma intere porzioni di trama che vanno a ripalesarsi in scena. Ecco quindi che Owen ed Amelia si ritrovano nuovamente ai ferri corti (per una gravidanza, sempre gli stessi temi, anche se da punti di vista diversi); Richard sembra bloccato nell’ennesima guerra d’amore e sentimento; Maggie ancora incastrata in una relazione da tempo ormai finita e che la costringe alla menzogna con la sua famiglia. A prima vista si potrebbe dedurre che il settimo appuntamento stagionale rappresenti l’ennesima occasione persa dello show. Ma così non è.
Se da una parte è innegabile l’aridità in quanto a sceneggiatura (con la riproposizione, per l’ennesima volta, di strutture già ampiamente viste), dall’altra c’è un caso clinico che scuote i personaggi, l’ospedale (questa volta non il Grey-Sloan ma il Pac North) ed anche il pubblico che difficilmente può rimanere incolume dal sentimentalismo portato in scena.
C’è un rapporto familiare molto precario che coinvolge Richard e suo fratello Chris; c’è un caso medico che sembra quasi una manna nel cielo, dal momento che potrebbe definitivamente riconciliare i due fratelli e parte dell’albero genealogico della famiglia Webber. Il caso medico, invece, volge al peggio contro ogni aspettativa e ciò che rappresenta porta ancora più dolore che la morte stessa di Sabie (da poco conosciuta e quindi difficile per lo spettatore provare empatia fino al punto d’essere affranti dalla sua dipartita). Quale è quindi questo contesto così “doloroso”?
Chris e la stessa Sabie erano decisi a non far fare l’operazione a Maggie, la cugina: il padre per fiducia mal riposta, mentre Sabie per puro e semplice conflitto d’interessi. Un tracollo medico, però, costringe l’equipe del Pac North (con l’aggiunta di Maggie per l’occasione) ad un intervento urgente ed una rapida decisione. Le volontà della ragazza e del padre vengono quindi ignorate aprendo la strada ad una chiara e possibile trama giudiziaria capace di investire e distruggere non solo la giovane e brillante chirurgo, ma l’intera struttura medica da poco divenuta centro narrativo quasi più dello stesso Grey-Sloan. Ma il cordoglio e la necessità di giustizia di Chris potrebbero avere non semplicemente un risvolto giudiziario (già presente come sottotrama, se si tiene in considerazione Meredith): ogni singolo fan di Grey’s Anatomy ha ben impresse nella mente le immagini della violenta sparatoria con la quale si concluse la sesta stagione (stagione che per molti rappresenta l’apice di questo prodotto televisivo).
Derek, disteso a terra colpito al petto con lo sguardo fisso in camera. L’ospedale (allora era il Seattle Grace Hospital) ridotto ad un carnaio. Odore di morte e sangue in ogni singolo reparto. Un elemento comune con questo particolare caso medico andato in onda a quasi dieci anni di distanza? Richard Webber.
Un finale che quindi aumenta le speranze di vedere nuova carne sul fuoco, magari qualcosa di clamorosamente violento oppure un processo in grado di scalfire, veramente, quell’aurea di sicurezza nella quali sembrano essere avvolti i chirurghi a Seattle.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Whistlin’ Past the Graveyard 16×06 | 5.66 milioni – 1.1 rating |
Papa Don’t Preach 16×07 | 6.12 milioni – 1.3 rating |
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.