Tra pareri decisamente contrastanti il 22 giugno scorso è sbarcata sugli schermi la seconda stagione di And Just Like That… che con grande sorpresa di alcuni, e grande delusione di altri, vede il ritorno di Samantha (Kim Cattrall). Tra l’altro, non l’unico fantasma del passato a tornare dato che dal cast di Sex And The City saranno “riciclati” anche altri personaggi come quello di Aidan (John Corbett).
Dal pene di Harry (Evan Handler) della scorsa stagione, che soprese un po’ tutti, le scene di nudo e sesso ora la fanno da padrona fino a diventare scontate e persino cringe. Questo primo episodio stesso è fortemente improntato sulla vita sessuale delle sue protagoniste, anche quelle secondarie come Lisa (Nicole Ari Parker) e Seema (Sarita Choudhury).
Una season premiere un po’ affollata, piena di personaggi che a prima vista si fa anche fatica a ricordare a distanza di un anno dalla loro prima apparizione. Ma non solo, ognuno di essi porta con sé la propria storia dando l’impressione di saltare da una situazione all’altra in maniera confusionaria. L’ampio minutaggio della puntata (43 minuti) avrebbe potuto decisamente essere sfruttato meglio.
NIENTE DI NUOVO, PURTROPPO
Che si abbia o meno presente “L’arte di sconfiggere la noia” del filosofo danese Kierkegaard non importa, perché dopo questo primo episodio bisognerà comunque dargli uno sguardo. “Met Cute”, infatti, manca di tutti gli elementi che servono a rendere accattivante una season premiere. Per farla più o meno breve: Carrie è alle prese con una non-relazione (aka friends with benefits) col collega Frank (Ivan Hernandez) che, al contrario, vorrebbe di più dal loro rapporto; Charlotte è semplicemente Charlotte, la moglie e la madre che ha sempre desiderato essere ma con molto più carattere, tanto da sembrare lei la controfigura di Samantha anziché Seema.
Il premio per la noia assoluta, però, va ancora una volta alla lesboomer Miranda. Nonostante essere riuscita a mollare tutto e tutti per Che (Sara Ramírez), è ancora lontana dall’essere la Miranda decisa e carismatica che tutti conoscevano. Mentre fa palesemente ancora fatica ad adattarsi alla sua nuova vita, ne esce come vittima di sé stessa, messa in ombra da Che che resta una figura e una fidanzata alquanto discutibile. Insomma, l’avvocata continua ad essere un controsenso vivente coerentemente, purtroppo, con la prima stagione e il suo personaggio continua così ad apparire una forzatura. La volontà di inserire a tutti i costi una tematica importante come quella LGBT purtroppo non è sufficiente a presentarlo nella maniera giusta. Anzi, sotto questo punto di vista, un altro imbarazzante cliché è quello di ridurre Anthony alla figura dell’amico gay alla mercé dei capricci delle sue amiche. Insomma, errare è umano ma perseverare è diabolico.
PLEASE, SEND HELP
Rispetto alla prima stagione trapelano, per il momento, ancora meno dettagli della vita personale delle tre amiche newyorkesi, il che fa apparire tutto ridicolmente superficiale. Il loro vissuto si riduce alle rispettive carriere lavorative ed esperienze sessuali che non sembrano, tra l’altro, riuscire a trovare pace. L’assenza, però, di una certa introspezione che caratterizzava SATC è il problema maggiore. Le riflessioni del blog di Carrie mutate in un più attuale podcast non hanno lo stesso effetto né il medesimo spessore.
Per quanto la serie miri a intrattenere, la piattezza del contenuto emotivo che fa fatica a emergere si fa sentire e rende davvero difficile entrare in sintonia con chi nella propria vita non fa altro che fare brunch, comprare scarpe costose e partecipare a party esclusivi come il Met Gala.
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Che dire più di quanto non si è già detto? Un inizio che sa di fine e che merita a occhi chiusi una bella insufficienza.
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Amante della letteratura, decisamente meno della matematica, procrastinatrice seriale la cui unica costanza nella vita è la pizza. Giunge a Recenserie per mettere a tacere i sensi di colpa del troppo tempo speso a guardare serie TV anziché studiare e farsi una carriera.