His Three Daughters recensione
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His Three Daughters

È davvero difficile pensare che Carrie Coon, Natasha Lyonne ed Elizabeth Olsen non si portino a casa nessun premio e/o riconoscimento per l'interpretazione data in questo film. Sarebbe veramente un'ingiustizia.

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Tre sorelle si ritrovano dopo anni nell’appartamento newyorchese del padre malato per accudirlo. Durante questo periodo, cercano anche di ricucire i loro rapporti ormai incrinati visto che sono costrette ad abitare per un po’ di tempo nello stesso appartamento.

L’equilibrio instabile tra legami familiari e conflitti repressi è il fulcro attorno a cui ruota His Three Daughters, un film che si sviluppa solamente all’interno di un appartamento (e di una panchina nel cortile del condominio) ma che riesce a esplorare dinamiche emotive profonde e complesse pur non muovendosi mai al di fuori delle quattro mura dove tre sorelle si ritrovano a passare insieme gli ultimi momenti monitorando il padre morente.
L’idea di rinchiudere tre sorelle in una casa per affrontare il lutto di un padre morente è di per sé una premessa carica di potenziale drammatico, ma ciò che distingue His Three Daughters è la profondità con cui Azazel Jacobs esplora i legami familiari e le tensioni irrisolte che emergono prepotentemente soprattutto nella prima metà del film. Carrie Coon, Natasha Lyonne ed Elizabeth Olsen interpretano tre donne con personalità talmente diverse da sembrare impossibili da far convivere, ma è proprio in questo conflitto che il film trova la sua forza e riesce a far emergere la vera personalità di ognuna.

We’re different types of people. But that’s my dad too over there dying. That is my dad, okay?

Sin dai primi minuti è chiaro che queste tre donne non hanno solo il lutto a dividerle, ma una lunga storia di incomprensioni e silenzi accumulati negli anni. Jacobs è magistrale nel far emergere questi strati di risentimento, e la sceneggiatura riesce a bilanciare momenti di aspro confronto (specialmente tra i character della Coon e della Lyonne) con momenti più delicati in cui lo spettatore riesce a intravedere la vulnerabilità dietro ogni scambio di battute. La cosa sorprendente è che, nonostante i loro difetti, alla fine si riesce a provare empatia per ciascuna di loro ed è proprio qui che il film trionfa: ti fa passare dal disprezzo all’empatia in modo sottile e graduale.
La performance di tutte e tre è assolutamente straordinaria: Carrie Coon, che interpreta la più rigida e controllata delle sorelle, riesce a trasmettere una forza interiore che nasconde però una grande sofferenza; Natasha Lyonne porta in scena un personaggio alla Natasha Lyonne (Russian Doll è un buon esempio), ma anche lei ha momenti in cui la maschera crolla, rivelando un dolore che forse nemmeno lei sapeva di portare dentro; e poi c’è Elizabeth Olsen che riesce a incarnare il senso di disorientamento e il bisogno di accettazione, regalando uno dei suoi ruoli più intensi e sfumati.
La chimica tra le tre attrici è palpabile ed è proprio questa alchimia che riesce a mantenere il film teso e avvincente per tutta la sua durata.

Married a couple of crazy bitches, raised a few crazy bitches.

Ci sono poi due aspetti interessanti del film: il primo è la scelta non mostrare praticamente mai il padre malato e il secondo è la decisione di Jacobs di limitare quasi interamente l’azione all’interno dell’appartamento.
Partendo da questo secondo aspetto, non si può che apprezzare la scelta che aumenta la sensazione di claustrofobia, riflettendo l’emozione oppressiva delle tre sorelle ma dando anche una dimensione teatrale alla narrazione. Il dramma si gioca nei dialoghi, negli sguardi, nelle pause, con pochi momenti di respiro offerti dall’esterno. Questo potrebbe sembrare un rischio, ma la regia riesce a mantenere viva l’attenzione dello spettatore, grazie anche alla fluidità della narrazione e alla costruzione di tensioni sottili che esplodono in alcuni momenti.
Il primo aspetto però è una delle scelte più intelligenti del film perchè è un esempio perfetto del principio “less is more” che tra l’altro viene suggerito dallo stesso padre malato attraverso una sua citazione che risuona ad un certo punto del film: “The only way to communicate how death truly feels is through absence. Everything else is fantasy“. Non vedere il padre morente amplifica la sua assenza, rendendo ancora più tangibile la paura della morte che le sorelle stanno cercando di evitare di affrontare. L’assenza fisica del padre diventa quasi un personaggio a sé stante, un fantasma che si aggira tra i dialoghi e che condiziona ogni loro azione e reazione.


Il film offre una rappresentazione toccante e realistica di una famiglia alle prese con la perdita, con le attrici principali che dominano ogni scena e una regia che sa quando lasciare spazio alle emozioni. L’evoluzione delle tre sorelle, da sconosciute che condividono solo un legame di sangue a donne che imparano a conoscersi davvero, è il cuore pulsante del film. E per quanto possa essere doloroso da guardare, è impossibile non sentirsi coinvolti fino in fondo.

 

TITOLO ORIGINALE: His Three Daughters
REGIA: Azazel Jacobs
SCENEGGIATURA: Azazel Jacobs
INTERPRETI: Carrie Coon, Natasha Lyonne, Elizabeth Olsen, Rudy Galvan, Jose Febus, Jasmine Bracey, Jay O. Sanders, Jovan Adepo
DISTRIBUZIONE: Netflix
DURATA: 101′
ORIGINE: USA, 2023
DATA DI USCITA: 06/09/2024

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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.

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