Come da tradizione, recensire il season (o series?) finale offre un’opportunità per analizzare il percorso fatto nei precedenti 10 episodi visto che, in teoria, c’è stato un filo conduttore ed un’evoluzione.
Nel caso specifico della nuova serie di Taylor Sheridan, bisogna ammettere che si è faticato abbastanza a capire quale fosse l’obiettivo del suo creatore. Per buona parte della prima metà, infatti, la trama orizzontale si è timidamente affacciata senza però mai prendere veramente possesso degli episodi. La trama verticale è stata decisamente la colonna portante sia del pilot che dei vari “The Price” e “Orion“.
Tutto Molto è cambiato nella seconda metà dove Iris e Mike si sono avvicinati e Milo è parzialmente emerso come vero villain della serie. E si dice “parzialmente” perché si poteva fare molto di più circa la sua caratterizzazione che è arrivata, più che altro, in maniera indiretta con il suo scagnozzo ed i pestaggi ai danni di Iris. Insomma, ci sono diversi margini di miglioramenti e angoli da esplorare qualora Paramount+ desse quello che sembra essere uno scontato rinnovo.
“I learned something today. What they took, I’ll never get back. It’s like everything they did just got a little piece of my soul. Now there’s just less of me. And I have to live with that. Or finish what they started. Cut the rest of me away.”
“I learned that, too.”
“So is that what you plan on doing? Cut the rest of you away?”
“I thought about it.”
“What changed your mind?”
“I just started thinkin’: what if your soul can grow back?“
UN FINALE IN TRE PARTI
Nella costruzione di questo “This Piece Of My Soul” Sheridan opta per una palese divisione in tre atti in cui il picco narrativo si raggiunge alla fine del secondo atto per poi tenersi l’ultima parte per far respirare i vari personaggi.
Il crescendo che è stato costruito sia esternamente che internamente alla prigione è da manuale della sceneggiatura, praticamente privo di sbavature. Tutto scorre velocemente, si dà un’interessantissima visione alle dinamiche politiche delle diverse forze dell’ordine e, in generale, tutto sembra molto reale anche considerata l’assurdità della situazione. Se si fosse terminata la puntata con l’abbraccio finale tra i McLusky sarebbe stato quasi un Bless Them All. Quasi.
Una menzione d’onore di disonore speciale va a quella guardia carceraria di cui non ci si ricorda il nome e che aveva ricevuto aggratis del minutaggio un po’ di puntate fa senza motivazione. Ora la motivazione è arrivata e, a posteriori, se ne sarebbe fatto volentieri a meno, specialmente perché la scelta di sparare ed uccidere membri di un altro team non è proprio sensata nemmeno se si considera la sua situazione famigliare. Sheridan qui ha cappellato.
UN TERZO TEMPO PER DILATARE
La scelta può piacere come no, sicuramente ha un impatto abbastanza palese sul ritmo che improvvisamente rallenta e, di conseguenza, ha anche delle conseguenze sul finale che arriva stanco e senza alcun plot twist o cliffhanger. E va sottolineato di nuovo come questa sia una scelta fatta a priori da Sheridan che ha optato per finire senza fuochi d’artificio, magari anche non sapendo se ci sarà una seconda stagione.
Chiaramente questo terzo atto è quello più debole dei tre perché, dopo tutta quella tensione crescente, la riflessività e alcuni confronti sono apprezzabili, ma non sono in grado di sostenere il paragone con quanto presentato in precedenza. La relazione tra Mike ed Iris, al momento, è quella più promettente vista la dinamica quasi paterna ma non esclude completamente un’evoluzione sentimentale. Rimane sempre discutibile il trattamento riservato a Kyle, il fratello di Mike, che pur avendo molto minutaggio a disposizione non è mai stato molto tridimensionalizzato e, ancora una volta, si spreca una buona occasione per affrontare la sua psicologia. E lo stesso vale per Milo. Seconda chance nella seconda stagione?
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Dopo gli eventi di “The Lie Of The Truth” ci si poteva aspettare un altro climax e poi un normale decrescendo e così è stato. La rivolta in prigione però rimane al di sotto delle aspettative confermando comunque una stagione che si chiude in un buon crescendo lasciando aperte diverse trame per l’eventuale seconda stagione.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.