Dopo una season première forse troppo piena di attendismo – se non per l’ansiogena e struggente sequenza finale – la terza stagione di From regala un secondo episodio nettamente superiore.
“When We Go” si rivela, infatti, un tour de force emotivo, affrontando temi profondi come il dolore, la perdita della speranza ed offrendo indizi misteriosi sul futuro narrativo della serie.
D’altronde From è sempre stato uno show che nel mistero ci sguazza allegramente, facendo propri alcuni valori come “disorientare lo spettatore con millemila teorie” oppure “aggiungere altre domande prima di dare risposte”.
C’è chi preferirebbe avere meno carne al fuoco e concentrarsi sul dare qualche spiegazione in più; sentimento condivisibile, dato che nelle precedenti due stagioni molte storyline sono rimaste nel limbo.
Purtroppo o per fortuna, From si prende i suoi tempi, che non sempre coincidono con la sete di curiosità del pubblico, quindi la narrazione prosegue lentamente e ad incastro: piccoli tasselli che vanno messi nel giusto ordine per formare il puzzle completo.
“LASCIATE OGNI SPERANZA VOI CH’ENTRATE”
L’episodio si apre con una scena inquietante che stabilisce immediatamente il tono: Jade scopre il corpo mutilato della povera Tian-Chen mentre Boyd borbotta qualcosa in modo isterico.
Questa potente apertura preannuncia l’intensità emotiva che permea l’intero episodio, mentre la performance di Harold Perrineau continua ad essere il fulcro della serie.
L’attore, infatti, offre un’interpretazione di qualità, catturando con maestria la lotta interiore del personaggio, tra disperazione e sensi di colpa. La sua recitazione, dunque, è uno dei fiori all’occhiello dello show.
La tragica fine di un personaggio dolce e amorevole come Tian-Chen, ha un forte impatto psicologico su tutti gli abitanti della città, che si trovano, ancora una volta, a fare i conti con una realtà sadica e meschina.
L’isolamento ed il pericolo costante creano delle fratture sempre più grandi anche in quei character dalla personalità più forte, come Donna che si lascia andare ad uno sfogo di rabbia dettato dalla perdita della speranza.
Kenny e Boyd, inoltre, condividono un toccante momento “padre putativo-figlio”, dopo che il ragazzo affronta finalmente il dolore per la morte della madre e abbandona la missione suicida e vendicativa.
NEL FRATTEMPO PER LE STRADE DEL MAINE
“When We Go” cerca di approfondire uno dei misteri principali della serie, soprattutto dopo il cliff-hanger dello scorso season finale ed il risveglio di Tabitha in un ospedale del Maine.
Pur non brillando certo per acume e simpatia, gli autori hanno scelto Tabitha come ponte tra la cittadina infernale ed il mondo reale, quindi la narrazione in qualche modo sta proseguendo, anche se a piccoli passi.
Le sequenze in casa del padre di Victor e i dialoghi tra quest’ultimo e la donna sono funzionali ad addentrarsi ancora di più nel mistero delle visioni e dell’esistenza della città stessa.
La rivelazione dei dipinti inquietanti creati dalla madre di Victor e la spiegazione del padre riguardo alle sue allucinazioni gettano nuova luce sulla situazione di Tabitha, suggerendo che potrebbe essere la prossima “prescelta”. Questo sviluppo aggiunge un nuovo livello di complessità alla trama e solleva interessanti questioni sul ruolo di Tabitha nel mistero più ampio.
Dopo due stagioni, infatti, il pubblico ancora si chiede se la piccola cittadina esista davvero, se sia una specie di purgatorio, se sia una specie di esperimento o addirittura un’entità vivente con le proprie leggi ed i propri meccanismi di difesa/tortura.
Anche il parallelismo tra il monologo del padre di Victor e le immagini del funerale di Tian-Chen, oltre ad essere ben costruito a livello tecnico tra regia e fotografia, solleva nuovi dubbi e nuove teorie.
La madre di Victor, nelle sue visioni, aveva semplicemente visto la cittadina con i suoi abitanti dell’epoca, oppure le visioni si riferiscono ai protagonisti dello show?
TRA BAMBINI DEMONI E CHIAMATE INTERURBANE
Una storyline che non riesce a catturare pienamente l’attenzione dello spettatore è quella della gravidanza di Fatima. Gli appassionati di serie tv, soprattutto di prodotti mystery-horror, avranno sicuramente già fiutato l’inghippo dietro il lieto evento.
Una gravidanza normale in una cittadina infestata di creature demoniache, dove ad ogni angolo si trova un mistero, è cosa impossibile da pretendere ed il pubblico lo sa bene.
Non stupisce, dunque, che Fatima non riesca a nutrirsi correttamente, se non per il cibo marcio rinvenuto a Colony House. Questa porzione di trama urla “demon baby!” a squarciagola.
Anche gli ultimi secondi dell’episodio lasciano abbastanza l‘amaro in bocca: Jim riceve una chiamata dal figlio Thomas, morto ancora neonato qualche tempo prima dell’arrivo in città della famiglia Matthews.
Jim era già stato protagonista di un contatto con il mondo esterno, o comunque con qualcuno di esterno alla cittadina. Durante l’ultima puntata della prima stagione, infatti, Jim aveva interagito alla radio con un voce che intimava a Tabitha di non scavare.
Di questo evento non si è più parlato nel corso dei successivi episodi, ma dopo questa ennesima telefonata, gli autori dovranno per forza tirare le fila della narrazione e dare qualche spiegazione.
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From continua a distinguersi nel panorama delle serie TV horror-mystery, grazie ad una combinazione sapiente tra elementi soprannaturali e profonde esplorazioni emotive. Certo, il ritmo della narrazione incespica in alcuni punti e le risposte tardano ad arrivare, ma allo spettatore viene richiesto un atto di fede. Questo secondo episodio, intitolato “When We Go” si conferma come uno dei più intensi e significativi della serie, lasciando gli spettatori ansiosi di scoprire cosa riserverà il prossimo capitolo.
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Se volete entrare nelle sue grazie, non dovete offendere: Buffy The Vampire Slayer, Harry Potter, la Juventus. In alternativa, offritele un Long Island. La prima Milf di Recenserie, ma guai a chiamarla mammina pancina.