recensione Il Buco - Capitolo 2
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Il Buco – Capitolo 2

Un secondo capitolo molto più lineare del precedente nella trama ma con un lato splatter/surreale più accentuata e che funziona. E la sensazione di essere davanti ad un prequel è più forte che mai.

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A distanza di anni dal primo capitolo, il regista basco Galder Gatzelu-Urrutia riprende l’ambientazione claustrofobica e futuristica del suo film di maggior successo, con nuovi protagonisti e uno sviluppo interessante della tematica principale del primo capitolo. Non mancherà ovviamente la fame e la voglia di sopravvivenza per i malcapitati che si troveranno ad affrontare le prove, soprattutto psicologiche del “buco”.

Il primo capitolo de Il Buco è stato all’epoca un piccolo caso emblematico davvero interessante. Nato come classico horror-movie indipendente da festival (non a caso vinse il premio del pubblico al Toronto Film Festival), la sua fama sembrava non dover uscire dagli angusti confini del settore e dalla nicchia degli appassionati del genere fanta-horror distopico.
Fino a che Netflix non ne comprò i diritti di distribuzione facendolo uscire durante il periodo della Pandemia da Covid-19 di cui la trama del film sembrava una perfetta metafora. Classico caso di pellicola uscita “al posto giusto nel momento giusto”, il film fece il botto sulla piattaforma raggiungendo più di 80 milioni di visualizzazioni, evidentemente colpendo nel segno e toccando alcune corde sensibili negli spettatori, soprattutto per quanto riguarda le questiono morali di cui la pellicola era portatrice.
Ora, a distanza di anni, Netflix rilascia Il Buco – Capitolo 2 proseguendo nel discorso e nell’ambientazione del primo capitolo, sempre sotto la guida del suo creatore, il regista basco Galder Gatzelu-Urrutia.
Da qui la domanda sorge spontanea: riuscirà questo ulteriore capitolo a superare (o perlomeno a raggiungere) la grandezza del primo film?

Respeta la ley. Y haz que se respete.

RITORNO NEL “BUCO”


Innanzitutto bisogna considerare le differenze e le affinità fra le due pellicole. L’universo è sempre lo stesso del primo capitolo: all’interno di una misteriosa prigione i condannati stanno scontando una pena insolita. Nel “buco” infatti le varie celle sono suddivisi in livelli verticali (ben 333, numero simbolico scelto non a caso). All’interno di ciascuna di esse c’è un buco rettangolare all’interno da cui, ogni giorno, scende una tavola imbandita di ogni pietanza immaginabile. Ai prigionieri però sta il compito di suddividersi le pietanze in maniera tale che ce ne siano a sufficienza per tutti.
Ovviamente succede che spesso siano i residenti nei piani superiori (posti in maniera del tutto casuale) ad approfittarsene lasciando poco o nulla ai residenti dei piani inferiori. Tutto questo in un evidente metafora della diseguaglianza fra le classi sociali del mondo in un’ottica ambientalista.
Gatzelu-Urrutia riprende tale ambientazione e tematica ma ci aggiunge un piccolo particolare che cambia la narrazione rispetto al primo film: i prigionieri sono organizzati secondo una Legge per cui a ciascuno aspetta uno specifico piatto precedentemente concordato. Tutti quindi devono prendersi il “loro” piatto a meno di scambiarlo tramite accordo con un altro. I seguaci di tale regola sono chiamati i Leali, e chi sgarra viene definito Barbaro. Ai Barbari, se scoperti, spetta ovviamente una punizione.

I PROTAGONISTI


Tale piccola “regola di sopravvivenza” e il castigo che ne deriva è di fatto il vero motore di tutta l’azione di questo secondo capitolo, ed è sufficiente per cambiare completamente prospettiva a tutto il racconto.
Qui il focus, infatti, non è più tanto l’istinto di sopravvivenza e la redistribuzione delle risorse, ma il concetto stesso delle regole di convivenza civile.
Le quali, pur partendo da presupposti corretti, possono rivelarsi comunque sbagliate se applicate in maniera troppo intransigente o radicale. È ciò che succede ai due protagonisti di questo capitolo: Perempuan (Milena Smit) e Zamiatin (Hovik Keuchkerian, il Bogotà de La Casa De Papel).
Due personaggi fortemente emblematici, entrambi in cerca di redenzione per aver fatto del male ad altre persone. Fra i due sarà soprattutto Perempuan ad avere la storyline più accurata e completa e a compiere il proprio “viaggio dell’eroina” fino alla redenzione finale (in un finale comunque aperto che dà adito comunque a più interpretazioni). Ed è un peccato perché in realtà fra i due il character più interessante risulta quello maschile. Dietro la facciata da “gigante buono” infatti Zamiatin (da notare la capacità di Gatzelu-Urrutia di trovare riferimenti letterari nei nomi dei personaggi, qui il nome è un riferimento ad uno dei più grandi autori di fantascienza distopica) si rivela essere un matematico, diventato scettico a causa dell’impossibilità di trovare la soluzione ad un problema algebrico.
Un’accoppiata interessante di personaggi che supera, in scrittura e profondità, il protagonista del primo capitolo.

Somos prijoneros de nostros mismos. E de eso… no hay fuga posibile!

PUNIZIONE E REDENZIONE


I due diventano così protagonisti di un vero e proprio “viaggio agli inferi” (riferimenti a Dante Alighieri erano presenti anche nel primo capitolo) in cui dovranno mettersi alla prova, scendendo via via nei vari livelli del “buco” e scontrandosi con la morale, spesso bigotta ed intransigente, che ne regola la vita e le abitudini, anche in questo caso metafora della reale “intransigenza religiosa” che regola il mondo reale.
E così, forzando le rigide regole della loro prigione i due troveranno una sorta di “liberazione”, anche se non sarà quella a cui inizialmente aspirano.
Questa è infatti la riflessione a cui ambisce questo nuovo capitolo: analizzare il rapporto fra regole dettate dall’auto-consapevolezza dei popoli (dal basso) e quelle invece dettate da un potere “divino” (dall’alto) e di come tale differenza possa cambiare il carattere delle persone.
I due, infatti, sperimenteranno la “punizione divina” capeggiata da leader dei Lealisti, una vera e propria distorsione del Messia chiamata Dagin Babi (meravigliosamente interpretato da Oscar Jaenada), cieco come la giustizia che rappresenta.


Non mancano i riferimenti all’universo del primo capitolo. Ricompaiono infatti, per la gioia dei fan, l’inquietante personaggio di Trimagasi (Zorion Eguileor) e lo stesso Goreng (Ivan Massagué) che rivelano come, in realtà, questo secondo capitolo sia una sorta di “prequel” di quanto visto nel primo film.
Il Buco – Capitolo 2 risulta molto più lineare nella trama del precedente capitolo, non senza rinunciare ad uno stile claustrofobico che ne accentua il lato orrorifico. E tuttavia la violenza, seppure presente dall’inizio alla fine del film, riesce comunque a non risultare troppo splatter. Anzi, nel finale, musiche, regia e scenografie contribuiscono a creare una sequenza surreale per un finale più che aperto in cui la sorte della protagonista è solo intuibile ma mai certa del tutto.
Gatzelu-Urrutia si conferma uno dei registi più innovativi del genere componendo un abile affresco degli animi umani di fronte alla ferocia e alla brutalità ed è il motivo per cui, anche questo secondo capitolo merita certamente una visione.

 

TITOLO ORIGINALE: El Hojo 2 
REGIA: Galder Gatzelu-Urrutia
SCENEGGIATURA: David Desola, Pedro Rivero, Galder Gaztelu-Urrutia, Egoitz Moreno 
INTERPRETI: Milena Smith, Hovik Keuchkerian, Natalia Tena, Oscar Jaenada, Bastien Ughetto, Zorion Eguileor 
DISTRIBUZIONE: Netflix
DURATA: 100′
ORIGINE: Spagna, 2024
DATA DI USCITA: 04/10/2024

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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!

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