Jack Amiel e Michael Begler sono gli sceneggiatori di questo episodio ma anche di “Chapter Nine“, “Chapter Ten” e “Chapter Eleven“. Una scelta piuttosto strana se si pensa che in genere, in un team di sceneggiatori, si alterna molto spesso la penna nella scrittura delle puntate di una stagione anche solo per dare più aria alla narrazione. Eppure non è quanto avvenuto qui e, sfortunatamente, sembra che le prime avvisaglie di questa scelta si siano manifestate esattamente in quest’ultima occasione.
“Chapter Twelve” è infatti l’episodio più lento e distante dalla trama orizzontale che si sia visto finora, specialmente considerando i suoi 50 minuti ed una relativa assenza di trama e di eventi nei suoi primi 22 minuti, ovvero fino a quando il focus si sposta nuovamente sul caso grazie a Paul Drake che annuncia la colpevolezza dei due ragazzi a Mason e Della Street. Prima ci sono solo galoppate sui cavalli nelle campagne californiane e gite fuori porta.
PEDRO MASON
Come già detto nella recensione della season premiere, Amiel e Begler sono i nuovi showrunner della stagione e come tali probabilmente hanno voluto dare un forte imprinting iniziale allo show prima di lasciar spazio agli altri membri del team, scelta che ora sembra non proprio correttissima perchè si denota una certa stanchezza sia nella scrittura che nella gestione del ritmo.
Chiaramente Perry Mason non è una serie moderna da poter essere concepita e distribuita da un Netflix o un Disney+, e come dice la relativa pagina Wikipedia si può etichettare come “crime drama“, “period drama” e/o “neo-noir“. Focalizzandosi su quest’ultima categoria si può anche giustificare il modus operandi dei due showrunner che si prendono il loro tempo e lasciano sprofondare il protagonista nell’alcol e nei problemi di un caso che sembra costantemente trovare dei vicoli ciechi. Un classico, un classico che può ancora funzionare nel 2023 ma è un classico che non è per tutti e va comunque rivisto, specialmente nell’ottica della fruizione contemporanea. Ben venga quindi il tempo dedicato ai vari character e a come spendono il tempo cercando di trovare serenità nella vita personale, ma il tutto deve essere fatto con il contagocce e con uno scopo ben preciso che va riscontrato nell’evoluzione della trama orizzontale.
Le varie scene “casuali” in cui Perry si ritrova costantemente di fronte all’insegnante del figlio sono ovviamente create ad hoc per enfatizzare la sua vita personale e sentimentale ma risultano anche eccessive e costruite, tipo quella in cui Mason viene insultato a scuola da un genitore qualunque per poi prenderlo a pugni. Questo, per esempio, è il classico caso in cui una buona idea (ovvero mostrare l’opinione del cittadino medio) viene trasportata malamente danneggiando il tutto.
MASON THE MEXI
La stessa evoluzione del caso sta diventando un po’ troppo prevedibile per lo spettatore con un po’ di ore di esperienza seriale sulle spalle. Ci si riferisce prettamente alla colpevolezza dei due ragazzi incarcerati, coinvolti in una faida tra milionari ben più grande di loro e utilizzati semplicemente come arma del delitto previo pagamento settimanale da ritirare sotto una macchina parcheggiata nel cuore della notte.
Facendo un passo indietro e guardando alla struttura della stagione anche considerando al trend generale di concludere positivamente il caso per Perry, Della e Paul, la colpevolezza dei due ragazzi deve essere giustificata rovesciando l’imputato in questione durante il processo al fine di colpire il vero colpevole, anche in vista del razzismo di fondo che pervade questo caso. Ed è fondamentalmente qui che affonderà le sue radici la seconda parte di stagione, in una prevedibile giravolta di eventi che daranno nuova speranza e porteranno ad una scontata vittoria dei protagonisti. Vittoria il cui problema è relativo all’essere estremamente prevedibile nei successivi sviluppi.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Arrivati al giro di boa, Perry Mason sforna il suo episodio più lento e transitorio con tantissimi elementi esterni alla trama orizzontale che fanno da contorno alla portata principale che però non arriva mai. E questo è il problema principale.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.