Forse in Italia Under The Banner Of Heaven non avrà lo stesso successo o lo stesso clamore che sembra aver riscosso in terra statunitense, ma resta a mani basse una delle migliori nuove produzioni di questo 2022. Forse “la” migliore fino ad ora.
Il clamore suscitato in USA è chiaramente collegato alla trattazione dell’argomento centrale (l’omicidio Lafferty) e alla rappresentazione che viene data della Chiesa Mormona. Una rappresentazione non volutamente negativa, quanto piuttosto oscura e dubbia proprio perché l’oggetto del racconto è un omicidio all’interno di quella comunità. Come era possibile trattare di un efferato duplice assassinio senza che i protagonisti della vicenda fossero rappresentati come dei criminali? Impossibile.
Eppure, in un’intervista rilasciata al New York Times Jon Krakauer e Dustin Lance Black ipotizzavano che in breve tempo lo show sarebbe stato accusato di voler demonizzare la comunità mormona. Cosa puntualmente avvenuta: sul giornale di Salt Lake City (Utah), Deseret News, viene pubblicato un articolo che cerca di smontare il lavoro di Black, esagerando volutamente il messaggio di Under The Banner Of Heaven quasi lo show cercasse di attaccare la totalità del credo mormone. Perché un giornale prende così a cuore la situazione? Deseret News è di proprietà della Deseret Management Corporation, una holding posseduta dalla Chiesa di Gesù Cristo dei santi e degli ultimi giorni. Ora se ne comprende il motivo, giusto?
ANDREW GARFIELD: TRA FEDE E LAVORO
L’esagerata critica della chiesa mormona, tuttavia, non rende giustizia al prodotto, e soprattutto al lavoro di Andrew Garfield, nel confezionare per il pubblico un personaggio come Jeb Pyre. Il lavoro fatto da Garfield è da puro e semplice applauso per come la difficile convivenza tra credo mormone e ruolo di detective nel caso Lafferty vengano portati avanti con attenzione attorno ad ogni singolo dettaglio. In particolar modo, colpisce la conferenza stampa conclusiva in cui Jeb, dopo l’intervento del capo, puntualizza “not to rule out fundamental mormonism”. Dando spazio a diverse reazioni. La prima è quella della moglie che, quasi sconvolta e imbarazzata dalle parole del marito, spegne la televisione; la seconda è quella di Bill Taba che confessa al collega di ammirarne il coraggio.
Un dualismo, quello di Jeb, che sta trovando spazio e modo di crescere rendendo interessante l’evoluzione del personaggio, unitamente a quella della famiglia. Il litigio con Rebecca avvenuto nella scorsa puntata, dopo la decisione di Jeb di posporre il battesimo delle due figlie, è sintomatico di un meccanismo, quello della fede, che sembra essersi inceppato nell’uomo. E Andrew Garfield tutta questa fragilità dell’essere umano la sta restituendo in ogni sequenza: dall’interrogatorio ai vari confronti con parenti e colleghi, passando per le varie confessioni con il prete.
I LAFFERTY: UNA FAMIGLIA MALEDETTA
Parallelamente all’analisi approfondita di Jeb, l’episodio arriva finalmente a circoscrivere, probabilmente, la causa scatenante degli omicidi addentrandosi nei complicati rapporti della famiglia Lafferty. Rapporti che si mostrano tossici in ogni singolo aspetto: i fratelli sembrano provare una certa difficoltà nel confrontarsi l’uno con l’altro; Ammon appare il solito “padre-padrone”, nonostante cerchi di far riportare alla ragione Dan facendo intervenire Ron come mediatore; anche le figure delle mogli, così devote, continuano a giocare un ruolo fondamentale all’interno della storia.
“Church And State” rappresenta il superamento di metà stagione (composta da un totale di sette episodi), e sarà quindi interessante vedere come il conflitto interiore di Jeb verrà affrontato e che ripercussioni avrà sulla sua vita e sul suo lavoro. L’episodio si addentra anche in qualche piccolo tecnicismo cercando si spiegare allo spettatore il tentativo da parte della famiglia Lafferty di evitare il pagamento delle imposte (da qui la composizione del titolo della puntata). L’unico neo, forse, continua ad essere la lunghezza del prodotto che anche questa volta supera l’ora di messa in onda. Tuttavia la messa in scena e il racconto non fanno pesare eccessivamente la durata. O, per lo meno, mascherano alla perfezione il minutaggio.
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Una serie che intrattiene, che racconta di uno spaccato sociale raramente messo sotto i riflettori e che crea un po’ di clamore.
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.