Ai tempi del dominio imperiale in India, un uomo britannico era sdraiato sul letto quando un serpente velenoso si è posato sul suo ventre e si è addormentato. |
Quanti minuti sono necessari per rendere un prodotto cinematografico (o televisivo) personale, riconoscibile e in grado di lasciare un segno profondo nello spettatore? Non più di 17 minuti, se sei Wes Anderson. Giunti al termine del quarto (e ultimo) mini-film, è possibile certificare definitivamente l’assoluta riuscita del progetto targato Netflix e basato su alcuni racconti di Roald Dahl.
Trattandosi di storie piuttosto brevi – spesso lunghe non più di 15 pagine – era prevedibile che non venissero realizzati dei film veri e propri, bensì una serie di cortometraggi ad alto impatto. Pochi minuti di proiezione, dunque, ma sfruttati al massimo. Ogni inquadratura, ogni espressione facciale degli attori, ogni colore delle scenografie possiede un significato e un messaggio.
Realizzare un cortometraggio di 17 minuti così pregno di simbolismo ed elementi che restano impressi da far sentire lo spettatore come al termine di un classico film di 1 ora e mezza. Questo era l’obiettivo di Anderson, e ci è riuscito alla grande.
IL SERPENTE CHE SPAVENTA
Quest’ultimo cortometraggio è basato su “Poison“, racconto originariamente pubblicato nel 1950. L’ambientazione è in India, ai tempi del dominio dell’Impero Britannico. Harry Pope (Benedict Cumberbatch) è un uomo inglese che risiede in una casa coloniale.
Una sera, Pope allerta una delle guardie indiane a presidio delle abitazioni, Timber Woods (Dev Patel): Mentre Pope era disteso sul letto, un serpente velenoso si è posizionato sul suo ventre e si è addormentato.
Essendo Pope impossibilitato a muoversi, al fine di non svegliare il serpente, Woods ha dovuto chiamare il dottor Ganderbay (Ben Kinglsey), il quale aveva a disposizione un antidoto per Pope e un sonnifero per il serpente.
IL SERPENTE CHE NON SI VEDE
Tutto il cortometraggio, dunque, è basato sulla tensione derivante dal possibile risveglio del serpente. Con un ulteriore dettaglio: lo spettatore non lo vede mai, in quanto esso si trova – a quanto viene detto – nascosto sotto la coperta del letto.
L’elemento con il maggior carico di stress è sicuramente rappresentato dai primi piani su Harry Pope. Disteso sul letto, muscoli completamente contratti, parole sussurrate lentamente per non compiere movimenti muscolari che possano svegliare il serpente.
La maschera di sofferenza di Cumberbatch, i suoi piccoli movimenti con gli occhi per parlare con Woods e il dottore valgono da soli il prezzo del biglietto. Il complesso processo con cui il dottor Ganderbai somministra il sonnifero al serpente (per via aerea, senza contatto diretto con l’animale) è ben congegnata e tiene lo spettatore sulle spine.
UN FINALE DEBOLE
Come descritto nelle sezioni precedenti, dunque, il serpente è stato il grande protagonista del film, pur non essendo mai stato inquadrato nei momenti in cui Harry ne denunciava la presenza e il dottore gli somministrava il sonnifero.
Alla fine, il motivo dell’assenza di inquadrature dell’animale è presto spiegato: non c’è nessun serpente. Questo colpo di scena – non del tutto imprevedibile – avrebbe rappresentato un finale bizzarro ma tuttavia apprezzabile per la sua natura beffarda.
Sfortunatamente, il racconto di Dahl si conclude con un impeto razzista di Pope, che insulta gravemente il dottore, reo di aver suggerito che il serpente non fosse mai esistito. Per un inglese ai tempi dell’Impero era assolutamente normale essere razzista nei confronti delle popolazioni dei territori sotto il loro controllo. Tuttavia, la sfuriata di Pope è estemporanea, priva di collegamenti nelle storyline precedenti.
Si tratta, quindi, di un finale che non si amalgama con la storia e che non fornisce particolari spunti di riflessione. Inoltre, non possiede neanche il lato poetico di un altro finale atipico, quello di The Swan. In altre parole, una conclusione non all’altezza del racconto.
Al netto di un finale debole e difficilmente comprensibile nella sua estemporaneità, il giudizio anche su quest’ultimo cortometraggio non può che essere positivo. Wes Anderson ha mostrato a pubblico e critica che un grande regista può rendere unici anche dei mini-film di 17 minuti. Le doti di regia di Anderson non sono state certo scoperte oggi. In aggiunta, la scelta di rappresentare il tutto come fosse un’opera teatrale – incluso l’aiutante che passa gli oggetti di scena agli attori – si è rivelata particolarmente azzeccata. Nel complesso, un esperimento riuscito. Bravi tutti.
TITOLO ORIGINALE: Poison REGIA: Wes Anderson SCENEGGIATURA: Wes Anderson INTERPRETI: Benedict Cumberbatch, Dev Patel, Ben Kingsley, Ralph Fiennes DISTRIBUZIONE: Netflix DURATA: 17′ ORIGINE: USA, 2023 DATA DI USCITA: 30/09/2023 |