Zero è la nuova scommessa italiana di Netflix che decide di investire nel talento nostrano e dare voce ad Antonio Dikele Distefano e agli italiani di seconda generazione.
Un prodotto sicuramente innovativo nel panorama seriale italiano, vuoi per il tema cardine dello show, vuoi per l’importanza dei protagonisti.
I personaggi di Zero sono ragazzi figli di immigrati, nati in Italia ma spogliati da quei diritti inalienabili che, invece, abbondano nella vita dei loro connazionali. Sono emarginati, poco considerati, messi sempre all’angolo, relegati all’ultimo posto. Invisibili, appunto, come il superpotere di Omar/Zero.
I ragazzi del Barrio non hanno nessuno dalla loro parte, se non sé stessi; contando solo sulle proprie forze, il gruppo troverà giovamento e crescita personale proprio nell’unità che la loro condizione impone e nell’amicizia che li accomuna.
La scelta di far gravitare lo show attorno a questi protagonisti funge sia da denuncia sociale che da tentativo – fortemente voluto da Antonio Dikele Distefano – di rendere normale la diversità.
Tuttavia, dopo quattro episodi è chiaro che la serie debba, per forza di cose, lottare con alcuni difetti tipici delle produzioni italiane, nonostante un comparto tecnico di buon livello.
REGIA, FOTOGRAFIA, SOUNDTRACK: UN CONNUBIO PERFETTO
Per essere un prodotto italiano, Zero sfodera un comparto tecnico di tutto rispetto. I registi (il quarto episodio è affidato a Margherita Ferri) dipingono con freschezza e sincerità una storia di formazione, amicizia e riscatto sociale. La fotografia, come si nota, è su tutto un altro livello rispetto alla media dei prodotti italiani, grazie al magnifico lavoro di Daniele Ciprìche non ha bisogno di presentazioni.
Anche il taglio veloce dato alle puntate, con un minutaggio inferiore ai trenta minuti, contribuisce a rendere più diretto e meno artificiale l’impatto visivo, regalando alla trama l’impossibilità di perdersi in storyline secondarie non necessarie.
Ultimo ma non ultimo, il peso e l’importanza della colonna sonora è talmente rilevante da diventare, anch’essa, una vera e propria protagonista. Come già sottolineato nella recensione del pilot, la soundtrack di Zero è curata in maniera certosina. I pezzi scelti rappresentano il meglio della scena trap, rap e pop italiana, immergendo la serie in una dimensione contemporanea ed attuale che ha un suo appeal e “parla ai giovani”.
PECCATO PER I DIALOGHI ALLA CENTOVETRINE
Anche in questo “Episodio 4”, a rovinare il bel lavoro svolto dalla resa scenica della serie ci pensano i dialoghi e, in certi punti, anche la stessa sceneggiatura.
Se la fotografia, la regia e la colonna sonora aiutano lo show a godere di uno stampo molto internazionale, i dialoghi inciampano nei soliti difettacci da teen drama o, peggio ancora, da soap opera.
In alcuni casi troppo smielati, in altri troppo esagerati, in altri ancora estremamente stereotipati, i discorsi tra i protagonisti non convincono, ma finiscono per suscitare ilarità per via del loro mood surreale.
Anche la sceneggiatura arranca in determinati momenti, proponendo cliché triti e ritriti. Primo tra tutti, la classica love story tra la ragazza ricca ed il povero ragazzo di periferia. Zero ed Anna, infatti, sono protagonisti dei dialoghi peggiori della serie. La poca chimica tra Giuseppe Dave Seke e Beatrice Grannò è lampante e rispecchia una sceneggiatura poco attenta e superficiale.
Lo stesso minutaggio ridotto, pur essendo un pregio per quanto riguarda il ritmo più scorrevole, diventa un’arma a doppio taglio che ferisce con soluzioni troppo semplicistiche ed irreali.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Nonostante parecchi difetti – dovuti soprattutto ai dialoghi ed alla sceneggiatura – questo quarto episodio si merita la sufficienza, proprio per il potenziale della serie, la sua innovazione ed il messaggio che porta con sé.
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Se volete entrare nelle sue grazie, non dovete offendere: Buffy The Vampire Slayer, Harry Potter, la Juventus. In alternativa, offritele un Long Island. La prima Milf di Recenserie, ma guai a chiamarla mammina pancina.