Il documentario analizza l’impatto ambientale, umano e animale della pesca nel mondo. Si parte dalle conseguenze già visibili nelle coste di tutto il mondo con cetacei e delfini morti per colpa dell’ingerimento di plastica, passando per l’allevamento massiccio dei salmoni e la schiavitù dei braccianti in Thailandia, finendo con il concetto di “blue sustainability” sponsorizzata dai colossi industriali. |
Seaspiracy nasce come sequel ideale di Cowspiracy – Il Segreto Della Sostenibilità Ambientale, documentario finanziato completamente su IndieGoGo nell’ormai lontano 2014 e successivamente rilasciato su Netflix nel 2015 in una versione aggiornata e co-prodotta da Leonardo Di Caprio. Ad unire i due documentari non c’è solo una certa (e voluta) assonanza nel nome ma anche il produttore Kip Andersen, già regista di Cowspiracy e qui nel ruolo di produttore e sostenitore di Ali Tabrizi, il regista (e anche protagonista) del documentario.
Raramente si è visto un documentario in cui il regista è anche “protagonista”, i più attenti potranno ricordare il Super Size Me di Morgan Spurlock dove effettivamente Spurlock era non solo regista ma anche vittima del suo stesso esperimento, eppure Seaspiracy riesce nel difficile tentativo di rimanere oggettivo nonostante il racconto in prima persona. Aiuta sicuramente anche il modo in cui tutto è stato girato e montato, limitando ricostruzioni sceniche (con una CGI discutibile) ed inserendo qua e la interviste a sostegno delle tesi.
If current fishing trends continue, we will see virtually empty oceans by the year 2048.
PESCE PLASTICO ED INSOSTENIBILE
Tabrizi pone subito l’accento sul quotidiano, sull’impatto che ogni piccola azione e scelta (culinaria o commerciale) ha sia prima che dopo essere stata compiuta e, soprattutto, su tutto ciò che non è così trasparente. Seaspiracy non è nemmeno un documentario atto a sensibilizzare l’opinione pubblica (ma se capita è una conseguenza gradita), quanto piuttosto un
BLUEWASHING
Particolare attenzione, un po’ come avvenuto in Cowspiracy, è rivolta alle organizzazioni umanitarie e alle aziende che raccontano solo una parte della verità, creando un tessuto d’informazioni piuttosto irreale. Tutto viene fondamentalmente messo in discussione, esteso a livello globale (vedasi il ruolo del “bollino blu” dato dalla Marine Stewardship Council) ma poi analizzato a livello locale (Giappone, Liberia, Isole Fær Øer), riportando l’impatto del singolo ad un livello globale, cosa che tuttora manca al consumatore finale.
Seaspiracy prende infatti ampio spunto dal suo predecessore per costruire parte della sua trama intorno ad una struttura già rodata in precedenza e composta da domande, situazioni scomode e affermazioni un po’ eccessive. Lo stesso Tabrizi, a posteriori, è stato criticato per alcuni commenti o alcune frasi usate in maniera decontestualizzata, con lo scopo di creare rumore e smuovere coscienze (un esempio arriva da “virtually empty oceans by the year 2048“, frase risalente al 2006 in una ricerca pubblicata su Science) tuttavia, guardando con l’occhio critico di chi vuole mettere in discussione tutto e tutti, è chiaro l’intento sensazionalistico di certe frasi.
Ali Tabrizi centra decisamente l’obiettivo andando a creare un perfetto sequel logico di quel Cowspiracy che tanto fa parlare di sé sin dal 2014. Seaspiracy non lascia lo spettatore privo di emozioni, anzi è molto probabile che una volta terminata la visione ci si ritrovi a fare delle considerazioni sulle proprie scelte e, più in generale, sull’intera filiera alimentare ed economica mondiale. Creare emozioni e far riflettere è l’obiettivo di ogni documentario ben riuscito, e Tabrizi c’è riuscito sotto ogni aspetto.
TITOLO ORIGINALE: Seaspiracy REGIA: Ali Tabrizi SCENEGGIATURA: Ali Tabrizi, Lucy Tabrizi DISTRIBUZIONE: Netflix DURATA: 89′ ORIGINE: USA, 2021 DATA DI USCITA: 24/03/2021 |