Petronella: “I wish I’d been enough.”
Johannes: “You have been a miracle.”
È da chiarire fin da subito: The Miniaturist ha messo in scacco anche noi di RecenSerie. Ebbene sì, siamo stati tratti in inganno. L’elemento sul quale la serie spingeva in maniera decisa era il potere del cambiamento, di come le cose potessero cambiare e di come il volere umano poteva ristabilire ordine nel caos. Il colpo di scena in conclusione della scorsa puntata aveva gettato nuova legna sul fuoco, un fuoco che già ardeva per svariati motivi: Johannes accusato ed imprigionato, Otto in fuga e disperso, i coniugi Meermans pronti a pugnalare alle spalle chiunque impedisse loro di ottenere il denaro tanto agognato ed una miniaturista, dalla caratterizzazione di un fantasma, che sfuggevole si divincola da ogni sguardo o chiamata.
Una volta rotto il vaso, ricomporlo è praticamente impossibile: era inconcepibile che una situazione talmente compromessa, anche a livello sociale, venisse rimessa in ordine con un semplice colpo di spugna. La pesante accusa di sodomia nei confronti di Johannes ha di fatto messo fuori dai giochi il personaggio, anche se ha dato modo ad Alex Hassell di portare in scena un altro dialogo pregno di significato, tagliente e che pungola al punto giusto il puritanesimo imperante dell’epoca. Tutti elementi validi e che sottolineano come, anche in questa seconda ed ultima parte, i dialoghi e la recitazione siano tenuti da conto da parte degli sceneggiatori e del regista.
Ciò che The Miniaturist ha messo in campo è stato un estremamente ben architettato gioco di campo-controcampo dove a fuoco veniva messa la continua ricerca dello status quo, del recupero dell’ordine e del motto “things can change” onnipresente; in disparte, invece, avveniva la vera evoluzione di ogni singolo personaggio in scena e la sua trasposizione in un nuovo e ben architettato contesto. Da Petronella a Cornelia questa evoluzione è tangibile ed è riscontrabile non solo nelle variazioni dei dialoghi ed il diverso modo di approcciarsi dei personaggi, ma anche negli sguardi: Petronella si evolve rapidamente da povera ragazza di provincia ad abile borghese consapevole che con il denaro difficilmente una porta rimane chiusa a lungo.
È da annotare, però, come questa evoluzione non rappresenti un banale deus ex machina narrativo o un cambiamento repentino e immotivato: i personaggi variano per adattarsi al nuovo costrutto sociale che si va disegnando loro attorno. Niente di più, niente di meno: l’umanizzazione di una caratterizzazione at its finest.
“Am I the only sinner in this room? Am I? You put on that costume in the morning, Pieter Slabbaert, as do you, Frans Meermans and hope we will be so dazzled by your robes we will overlook your own sins. I will not apologize for who or what I am. But the allegations against me are false. Lies concocted out of envy, jealousy, bitterness. Citizens of Amsterdam, we are better than this. I have worked for this city from the moment I was old enough. I’ve sailed to lands I never knew existed, not even in my dreams. I’ve fought for and seen men die for this republic on hot beaches and high seas, risking our lives for the glory of the land that gave us birth. Striving, building, never once resting in complacency. I rescued a slave boy from traders. I took in an orphan girl. I sponsored apprentice after apprentice, but exploited no man’s need. I never perjured myself, or corrupted another with bribes. I took a wife, and I tried to make her happy, as she made me. And my reward… is this. Well… enough.”
Se da un lato è d’uopo sottolineare le qualità di questo prodotto, dall’altro è sacrosanto riportare alla memoria delle defezioni di non poco conto. Il primo vero problema che esula dalla narrativa è il voler presentare The Miniaturist come serie tv: semplicemente, la visione suddivisa così blandamente non ripaga affatto. Addentrandosi nel campo della narrativa rimane vero quanto detto nella precedente recensione: la trama non trova un vero sbocco verso il quale fluire e quindi la storia ristagna, rimanendo ferma, immobile. Ed insieme a lei rimane ferma anche lo spettatore: prima dinanzi alla corte in compagnia di Johaness (tre comparizioni, giusto per diluire ulteriormente i tempi narrativi); per l’ennesima volta all’inseguimento della miniaturista; in piccole parentesi estemporanea senza alcun peso specifico nei confronti della storia principale.
Ma quale sarebbe questa storia principale? L’affresco di una famiglia, mutato da intricati giochi di palazzo e da pulsioni difficili da reprimere, che cerca di ritrovare un proprio ordine. Non un ritorno al vecchio ordine, come si poteva erroneamente pensare dai vari dialoghi, ma un nuovo e diverso ordine famigliare. Giunge telefonatissima, come l’orientamento sessuale nella scorsa puntata, la condanna a morte in quanto sodomita a Johannes: dieci minuti prima aveva ammesso dinanzi alla corte di “aver amato” la stessa persona da cui veniva accusato. Ora, la condanna appare un accessorio alquanto scontato da portarsi a casa, no? A quanto pare l’intera platea del pubblico è rimasta sconcertata dalla notizia, quasi non avesse idea di ciò che stava avvenendo. Una scena quanto meno discutibile in termini di credibilità.
Nella sua valutazione generale, quindi, questa seconda ed ultima parte di The Miniaturist non si allontana troppo dalla precedente: una bellissima confezione, adornata di ogni cosa, per un prodotto non appetibile e a tratti per nulla coinvolgente.
“The purpose of a trial is to discover the truth and you deserve no less. So I will give it to you, in full. Yes, I know Jack Philips. Perhaps I even loved him. But I never hurt him, or offered any insult to his body. Frans Meermans I once considered a friend. But long ago I caused him great pain and he, perhaps rightly, has never forgiven. If the story he has told here is his manner of revenge, it does not make it true. Nor does it prevent me from forgiving him. Now that you have heard me…you may do with me what you will.”
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.