Gli anni ’70 sono entrati nell’immaginario collettivo per una molteplicità di eventi che hanno visto al centro non solo i diritti civili portati avanti da alcune minoranze, ma l’attenzione sociale e mediatica che si è spostata sugli studenti universitari in primis e sui giovani, più in generale. Una rivendicazione non solo di tipo culturale, ma che ha trasportato il focus sulla vita dei ventenni/trentenni di quella generazione. Non era inusuale che molte persone appartenenti a quella specifica fascia d’età cercassero una via di fuga dall’ideale imposto dai propri genitori e dalla società in cui vivevano.
Non è un caso che sia anche il decennio più prolifico per le sette: un gruppo, solitamente governato da una figura fortemente carismatica, i cui adepti erano principalmente giovani ragazzi (basti pensare alla Manson Family, uno degli esempi più eclatanti, i cui membri erano ragazzi di buona famiglia, appartenenti alla media borghesia statunitense) i cui tratti – giovani vittime, leader carismatico e affascinante – sono ripresi in questo episodio.
DOMINIQUE
Come già nella scorsa puntata, dove l’attenzione era focalizzata sulla figura di Monique e sul suo rapporto tossico con Charles (alias Alain), in “Episode Three” la struttura è la medesima: la maggior parte della puntata è dedicata all’introduzione e all’approfondimento di Dominique.
Ragazzo francese emigrato per trovare lavoro, finisce invischiato nella “setta” di Alain e Monique dalla quale è estremamente facile entrare, ma impossibile uscire.
Il modus operandi di Charles è oramai appurato, gran parte del minutaggio viene dedicato alla consapevolezza della situazione in cui è finito, consapevolezza che gli permette di fuggire. Il ragazzo capisce che Alain non solo è un bugiardo, ma è anche estremamente pericoloso.
Dal momento in cui intuisce che le medicine che Monique gli somministra metodicamente lo fanno star male – piuttosto che curarlo -, il ritmo dell’intera puntata acquista un tono differente, dalle tinte noir. I momenti di maggior tensione sono quelli in cui Dominique tenta di recuperare il proprio passaporto – che Charles ha manomesso, con la promessa che il ragazzo lo avrebbe potuto riavere indietro e tornare a casa – e, rendendosi conto di non avere mezzi per scappare, si sente braccato. Ad enfatizzare la sensazione, oltre all’interpretazione di Tahara Rahim, ci sono dei piccoli dettagli molto efficaci: dal ticchettio insistente della sveglia, alla musica di sottofondo, fino al continuo portar via nel cuore della notte corpi di giovani svenuti.
Il punto di forza della serie continua ad essere Charles. Magnetico, subdolo e carismatico, tanto da risultare affidabile in un primo momento, Alain è l’unico personaggio che mantiene le redini della serie.
FLASHBACK
Uno dei difetti più grossi riscontrati dalla serie è il minutaggio gestito non nel migliore dei modi, pieno di flashback poco chiari che disorientano piuttosto che incuriosire. Se è vero che, in questo caso, i salti temporali sono gestiti in maniera migliore e vengono esplicitati in modo semplice, è altrettanto vero che non ottengono l’effetto sperato.
Teoricamente l’uso dei flashback, soprattutto nelle serie crime, è finalizzato ad aumentare la suspense; in questo caso relativa sia agli avvenimenti del 1975, sia alle indagini dell’anno consecutivo. Purtroppo però non funziona come dovrebbe. Le lunghe scene, soprattutto quelle dedicate all’interrogatorio di Remi e Nadine, hanno l’effetto opposto, rendendo l’ora della puntata troppo diluita.
Un altro grosso difetto è la caratterizzazione praticamente nulla del detective Knippenberg. Fondamentale è una presenza all’antitesi del villain di turno, un personaggio con qualità forti e ben distinte tali da rendere interessanti i due filoni narrativi. In The Serpent, invece, i due piani temporali sono estremamente sbilanciati a causa di una minuziosa caratterizzazione del personaggio di Charles a discapito di una cura pressoché nulla in merito alla figura del detective.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Le premesse sulla carta erano entusiasmanti, ma la scelta di usare due piani temporali differenti e un detective non approfondito non promettono nulla di buono.
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.