Frederick, nipote del barone e celebre scienziato Victor von Frankenstein, è un rispettabile neurochirurgo e professore universitario, e ci tiene a tal punto a prendere le distanze dalle assurde teorie del nonno da aver cambiato la pronuncia del proprio cognome in Frankenstin. Ma le cose cambiano quando eredita il castello di famiglia in Transilvania e scopre nella biblioteca segreta del barone le prove che dare nuova vita a un corpo morto… si… può… fare! |
A distanza di quasi cinquant’anni (per la precisione quarantanove) dalla sua uscita, Frankenstein Junior è tornato al cinema per tre giorni. Lo ha fatto mentre nelle sale proiettano l’ennesimo blockbuster marvelliano sull’uomo-formica e la donna-vespa e il chiacchieratissimo The Whale. Ma una vecchia gloria degli anni ’70 non ha timore di rimanere schiacciata dalla concorrenza contemporanea; non se ha dalla sua mezzo secolo di successo, lo status di vero e proprio cult e una comicità che fa ancora scompisciare.
GENESI DI UN CAPOLAVORO
Frankenstein Junior è il quarto film di Mel Brooks, regista che non avrebbe bisogno di presentazioni e che, per inciso, sta per tornare a novant’anni suonati con la serie History Of The World – Part II, seguito di una delle sue pellicole. Per chi non lo conoscesse, Brooks è un autentico maestro della parodia: ha spaziato dal western (Mezzogiorno E Mezzo Di Fuoco) alla fantascienza (Balle Spaziali), dal genere storico (Robin Hood – Un Uomo In Calzamaglia) all’horror (Dracula Morto E Contento).
Ma a detta di molti, incluso chi scrive, il suo vero capolavoro è Frankenstein Junior, classe 1974. Ed è ironico da un certo punto di vista, in quanto l’idea di base non venne al regista newyorkese ma al suo caro amico Gene Wilder. Il soggetto era tanto semplice quanto intrigante: una storia incentrata sul nipote del dottor Frankenstein, che dapprima si vergogna della fama del nonno e poi decide di seguirne le orme.
Wilder parlò della sua idea col proprio agente, che lo convinse sia a coinvolgere nel progetto altri due attori che rappresentava all’epoca, Peter Boyle e Marty Feldman, sia a chiedere a Brooks di occuparsi della regia. Ma Brooks inizialmente rifiutò: c’erano già un sacco di film su Frankenstein, sul figlio di Frankenstein, sulla moglie di Frankenstein. Perché aggiungerne un altro?
Solo mentre lavoravano insieme sul cast di Mezzogiorno E Mezzo Di fuoco, Brooks concesse una possibilità all’idea di Wilder. I due si occuparono a quattro mani della sceneggiatura, mentre per reperire i fondi necessari si dovette chiedere aiuto alla 20th Century Fox, che accettò in cambio di un contratto in esclusiva per Wilder e Brooks della durata di cinque anni. Tutto era pronto per dar vita a una delle commedie più divertenti e di successo della storia del cinema.
SI… PUO’… FARE!
Realizzando Frankenstein Junior, Brooks e Wilder si rifecero non solo al grande romanzo di Mary Wollstonecraft Shelley, ma anche (anzi, soprattutto) al filone cinematografico inaugurato dalla Universal Pictures nel 1931, e proseguito con altri due film, La Moglie Di Frankenstein e Il Figlio Di Frankenstein. In tutti e tre, la Creatura era interpretata dal celebre attore Boris Karloff.
Il risultato finale fu un prodotto che era insieme una parodia, un omaggio e un sequel di quelle opere, in quanto si muove costantemente fra la dimensione della dissacrazione e quella più seria della rilettura critica.
È noto, per esempio, che Brooks riutilizzò addirittura alcune scene del film del 1931, che truccò Peter Boyle con lo stesso cerone bluverde usato nelle pellicole della Universal Pictures, e ancora che il look di Elizabeth dopo l’incontro con la Creatura è identico a quello della moglie di Frankenstein nell’omonimo film del 1935, che l’ispettore Kemp si ispira a un personaggio simile ne Il Figlio Di Frankenstein, e si potrebbero citare decine e decine di altre curiosità dello stesso tenore.
Al contempo, ciò che Brooks e Wilder lasciano invariata è la morale di fondo della storia. Come nell’opera originale della Shelley, il mostro non è tale fin dalla “nascita” ma lo diventa per il modo in cui la società lo tratta. Certo, nel film la comunità della Transilvania è tratteggiata con toni chiaramente iperbolici ed esasperati, che esagerano la sua superstiziosità e la sua ignoranza, ma il messaggio che voleva dare la scrittrice ottocentesca è lo stesso. E questo rende ancora più gradevole il lieto fine, nel quale la Creatura si riscatta grazie al sacrificio del suo stesso creatore, che gli dona metà del cervello in cambio del suo enorme Schwanzstucker.
LUPO ULULÀ, CASTELLO ULULÍ
Ma perché Frankenstein Junior continua a essere un cult così apprezzato, amato e citato dopo quasi cinquant’anni dall’uscita nelle sale nonostante un’estetica assai lontana dal cinema contemporaneo (a cominciare dal fatto che è girato volutamente in bianco e nero)?
Sarà perché la sua è una comicità senza tempo, fatta di battute argute e fulminanti, facili anche da ripetere, quasi una comicità da meme che è entrata prepotentemente nella cultura di massa. E che fa scompisciare dalle risate tuttora. Basti pensare al tormentone di Frau Bluecher (hiiiiii!), a giochi di parole come “Lupo ululà, castello ululì”, alle pronunce volutamente storpiate (Frankenstin! Aigor!), alle gag di natura sessuale, al sedadavo e al cervello A. B. qualcosa, alla gobba che si sposta da una scena all’altra, allo sketch delle freccette, all’incontro con l’eremita cieco (interpretato da Gene Hackman) e anche qui la lista sarebbe davvero lunga.
E poi c’è il cast. Marty Feldman è semplicemente perfetto nei panni di Aigor, perché confeziona una performance indimenticabile, tutta basata sulla mimica, sullo slapstick, capace di far ridere anche solo con uno sguardo o un sorrisetto. Gene Wilder è un mattatore che domina costantemente la scena, gigioneggiando e passando con disinvoltura dal dramma alla commedia, conferendo al suo Frederick Franenstein umanità e comicità in egual misura. Ancor più difficile, ma non meno riuscita, la prova attoriale di Peter Boyle: la sua Creatura parla poco e niente, ma i mugugni, gli sguardi, le smorfie valgono più di mille parole.
SEMPRE LIBERA DEGG’IO FOLLEGGIARE
Splendide anche le interpreti femminili, e in particolare Madeline Kahn, chiamata a interpretare un personaggio che mette alla berlina uno dei miti più longevi e duri a morire della nostra società: quello della verginità. Ossia la donna che deve arrivare illibata al matrimonio, come voleva la rigida morale di un tempo. Elizabeth è provocante e al contempo pudica, civettuola e insieme conturbante, pronta a far esplodere questa sua sessualità repressa nel momento in cui incontra la Creatura, vero e proprio Adamo che non ha ancora conosciuto le limitazioni e le costrizioni tipiche della società umana.
La pellicola di Brooks si diverte a mettere alla berlina tutto ciò che è precostituito, imposto dall’alto, che riguardi la sfera sessuale o quella del potere. Si pensi al severo e integerrimo ispettore Kemp, che ridicolizza l’autorità dura e pura, il pugno di ferro della legge pronto ad abbattersi sul diverso che non si sforza di conoscere. Per non parlare delle prese in giro alla borghesia statunitense dell’epoca, incarnata dal geniale e frivolo Frederick, un concentrato di frustrazione (anche sessuale), esaltazione e autocompiacimento.
Frankenstein Junior è una pellicola multiforme, tanto radicata nel suo tempo quanto proiettata verso il passato da omaggiare, e al contempo capace di trascendere questi limiti temporali per essere ancora oggi, a distanza di mezzo secolo dalla sua uscita, un capolavoro del grottesco e dell’umorismo difficile da eguagliare.
TITOLO ORIGINALE: Young Frankenstein REGIA: Mel Brooks SCENEGGIATURA: Gene Wilder, Mel Brooks INTERPRETI: Gene Wilder, Peter Boyle, Marty Feldman, Cloris Leachman, Teri Garr, Madeline Kahn, Kenneth Mars DISTRIBUZIONE: 20th Century Fox DURATA: 105′ ORIGINE: USA, 1974 DATA DI USCITA: 15/12/1974 |