Lupin 1×10 – Capitolo 10TEMPO DI LETTURA 3 min

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Lupin 1x10 recensioneDopo una prima parte di stagione che aveva (pur con tutti i suoi difetti) entusiasmato e, soprattutto, intrigato, con questa seconda parte tutto diventa un po’ troppo “europeo”.
Premettendo che questo aggettivo è volutamente negativo e atto a sottolineare una differenza generale ancora enorme tra le produzioni europee e quelle americane, si può serenamente affermare che Lupin non si discosta troppo dai suoi colleghi europei. Lo confermano gli ultimi cinque episodi ma, nello specifico, lo conferma questo season finale che ha preso la trama e ha piegato realtà, fisica e raziocinio in funzione di essa. Come al solito.
E a tal proposito riecheggiano ancora negli incubi degli spettatori le ultime frasi sdolcinate e palesemente farcite da abbracci e occhi lucidi dette sullo scoccare del gong dall’ex fidanzata di “Lupin”: “we can’t lose you, Assane.“. Una reazione che nemmeno i migliori psicologi potrebbero scusare vista la bipolarità indiscutibile che ne traspare.

EUROPEIZZAZIONE


La presenza nei primi due episodi di Louis Leterrier alla regia si era sentita positivamente, aveva dato nomea e anche una certa qualità al prodotto che si è poi protratto in qualche modo fino a qua. La sceneggiatura invece, un po’ come una barca che comincia a imbarcare acqua per un paio di falle, è andata letteralmente ad inabissarsi affondando proprio in quest’ultimo episodio.
Pur volendo chiudere gli occhi di fronte a classici svarioni, non si può però far finta di niente di fronte a certe scene (tipo la fuga dai bodyguard nascondendosi dietro una porta) che urlano vendetta in ogni fotogramma. Bisogna ammettere che, per il modo in cui è stata creata e concepita, la serie è volutamente veloce e superficiale in modo tale da non lasciare tempo allo spettatore di scovare i vari buchi nella trama preferendo fugaci colpi di scena a trame con un senso compiuto. Ancora una volta, infatti, gli sceneggiatori optano per una serie di trovate che si possono giudicare come interessanti a prima vista, salvo poi evidenziare la lacuna narrativa su cui si ergono. Gli esempi a tal proposito si sprecano (c’è anche una bella lista della spesa nella scorsa recensione), specie nel teatro dove si consuma la fine (momentanea, visto il rinnovo per una 3º parte) della faida tra Assane Diop e Pellegrini.
Ecco quindi che casualmente non c’è nessuno a guardia della loggia di Pellegrini, un Pellegrini che dall’alto della sua perspicacia e meticolosità rivela tutto per filo e per segno in una confessione da manuale, una confessione che arriva fatalità solamente a Guedira e proprio nel momento propizio. Il tutto senza menzionare le chiavi del motoscafo, la fuga per la Senna o il travestimento da Busta Rhymes negli anni ’90.
Tante coincidenze che enfatizzano una bravura di Assane più legata alla fortuna che alla pianificazione, un po’ come la sceneggiatura stessa, più finalizzata al clamore estemporaneo piuttosto che ad una riuscita nel lungo periodo.

UN RINNOVO NON NECESSARIO


Come si poteva immaginare visti i 70 milioni di spettatori accumulati in pochissimo tempo, Netflix non ha esitato a rinnovare la serie per una 3º parte (ovvero altri 5 episodi). Un rinnovo che, vista la conclusione di questa puntata, ci può stare ma poteva anche essere evitata vista l’incriminazione di Pellegrini e la fuga, poetica ma in linea con il personaggio, di Assane.
A questo punto, anche visto il modo in cui la sceneggiatura è andata deteriorandosi puntata dopo puntata, è veramente poco auspicabile un miglioramento ed un ritorno verso una solidità narrativa sbandierata all’inizio. Rimane quindi allo spettatore la scelta se proseguire nella visione spegnendo il cervello per 40 minuti oppure terminare qui l’avventura di Assane Diop.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Omar Sy
  • Regia interessante
  • Colpi di scena incredibili dentro e fuori il teatro 
  • Confessione ad hoc
  • Fuga in motoscafo
  • Claire e la sua bipolarità
  • Trama che non si regge su alcun pilastro

 

Purtroppo anche l’ultimo episodio conferma l’assenza di una solida sceneggiatura su cui costruire una storia che non giustifica nè le azioni, nè le reazioni dei vari personaggi. La surrealità regna sovrana in una serie dove sarebbe giusto che fosse presente ma anche sorretta non solamente da Deus Ex Machina o svolte umorali dei character.

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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.

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