Guillermo Del Toro's Pinocchio recensione
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Pinocchio Di Guillermo Del Toro

L'adattamento di Pinocchio targato Guillermo Del Toro impiega 15 anni di lavoro per essere ultimato, consegnando un prodotto a livello tecnico ineccepibile rivisitato in maniera intelligente.

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Italia 1916, a seguito di un bombardamento in piena Prima Guerra Mondiale, Geppetto perde il suo unico figlio Carlo, lasciandosi cadere in un vortice di disperazione e alcolismo. Una notte, abbattendo l’albero sulla tomba del figlio, Geppetto ne costruisce un bambino di legno che, prendendo vita, dovrà destreggiarsi in un mondo troppo selettivo in piena ascesa del fascismo. Adeguarsi alle aspettative o rimanere sé stessi sarà la scelta che Pinocchio dovrà affrontare nel suo lungo cammino. 

 

Alla riscoperta di Pinocchio. Tra le sempre più numerose riproposizioni live-action dei classici Disney ce n’è uno che ultimamente sembra andare molto in voga. La storia scritta da Carlo Collodi nel 1883 con il titolo “Le Avventure Di Pinocchio. Storia Di Un Burattino” è stata nel tempo riproposta più volte, a partire dal più celebre di tutti, quel Pinocchio della Disney del 1940. E se nel corso degli anni gli adattamenti hanno toccato più campi artistici (non solo animazione ma anche veri e propri film, con l’ultimo risalente al 2019 targato Matteo Garrone), è il 2022 che sembra nuovamente riportare in auge la storia del burattino di legno.
Negli ultimi mesi, infatti, Pinocchio è riapparso sotto più spoglie, dapprima con il deludente live-action targato Disney con la regia di Robert Zemeckis, adesso con l’innovativa versione di Guillermo Del Toro. Un prodotto, quest’ultimo, che non perde il suo valore né risulta ripetitivo pur seguendo di pochi mesi l’opera della Disney e che raggiunge una tale autonomia sia per la longevità del progetto che per l’estrema peculiarità dell’opera del regista messicano.

If you animate the ordinary, you will achieve something extraordinary.

STOP-MOTION E ALTRE COSE FANTASTICHE


L’idea di un adattamento del Pinocchio di Collodi è un progetto con radici ben profonde per Guillermo Del Toro che lo ha da sempre definito il suo “passion project”. Il regista ha raccontato come la fusione tra il genere dell’animazione, da sempre un caposaldo nella sua visione lavorativa, unita ad una connessione profonda e personale con la storia di Pinocchio, hanno dato vita al mix perfetto per questo progetto. Un disegno a lungo termine dato che la prima bozza pensata dal regista riguardo una versione più dark di Pinocchio risale addirittura al 2008. Si sono susseguiti poi diversi anni di progettazione, seguiti da un periodo in cui il Pinocchio di Del Toro si è ritrovato bloccato in un limbo senza che se ne sapesse più niente, prima di arrivare al 2017 con la notizia di uno stop dovuto alla mancanza di budget. Mancanza a cui ha presto sopperito Netflix che nel 2018 ha dato nuova linfa vitale al progetto con il padre fondatore Guillermo Del Toro coadiuvato alla sceneggiatura da Patrick McHale e alla regia dall’esordiente Mark Gustafson.
Un’epopea che tra alti e bassi ha impiegato quasi 15 anni per la sua realizzazione ma che a livello di tempistiche racchiude una motivazione ben precisa nell’essenza stessa del progetto. L’idea di Guillermo Del Toro di realizzare il suo Pinocchio con la tecnica dello stop-motion risulta infatti un piano ambizioso e accattivante, per un risultato artisticamente sublime così come lo erano state alcune opere precedenti presentate con la stessa tecnica (su tutti facile ricordare i film di Tim Burton, da Nightmare Before Christmas a La Sposa Cadavere).
Ma ciò che regala un maggiore peso specifico alla realizzazione in stop-motion è sicuramente l’estremo lavoro che vi è dietro la sua progettazione e, per questo, per apprezzare ancora di più questa versione di Pinocchio è consigliabile dare un’occhiata al dietro le quinte dell’opera: 30 minuti disponibili sempre su Netflix intitolati “Pinocchio di Guillermo Del Toro – Cinema Scolpito A Mano” dove emerge in tutta la sua magia l’arte messa in moto dagli addetti ai lavori. Un impegno che ha visto coinvolti studi divisi tra Londra, Portland e Guadalajara, unito ad un “esercizio artigianale di intaglio, pittura e scultura” eccezionale come sottolineato dallo stesso Del Toro.
Nello speciale si comprende al meglio la realizzazione dei personaggi (da un Pinocchio interamente stampato in 3D, ad un Geppetto del tutto meccanico), fino al minuzioso lavoro di precisione e pazienza degli animatori che frame by frame assicurano ogni minimo movimento o espressione ai loro personaggi. E basterebbe questo per esaltare l’opera nella sua massima espressione artistica.

UNA STORIA ATIPICA SEGNATA DA ALTI E BASSI


Ma oltre la peculiarità a livello tecnico, il Pinocchio di Del Toro si distingue dalla massa anche grazie alla diversità della storia narrata. Non una semplice rivisitazione o adattamento, bensì una vera e propria storia riscritta, dove i personaggi classici si ritrovano catapultati in un altro universo narrativo. La storia di Del Toro è infatti ambientata in un’Italia già inghiottita dall’ascesa del fascismo e da qui non mancano le critiche ad una società fantoccio figlia dell’obbedienza cieca e della completa assenza di giudizio morale.
Una riscrittura sicuramente apprezzata dato che la storia regala una visione completamente nuova verso fatti e personaggi, ma che porta con sé anche qualche piccolo passo falso. Se infatti di estremo valore appaiono i temi trattati e la morale finale che il film vuole lasciare, il racconto stesso risulta un po’ più “affannoso”. L’opera sviluppa una storia ben equilibrata a livello di trama ma ottiene tre effetti differenti durante la sua esposizione provocando una netta divisione tra inizio, parte centrale e conclusione.
La prima parte, con la pur necessaria presentazione di fatti e personaggi, appare infatti un po’ più pesante e potrebbe per questo non catturare immediatamente l’attenzione di tutto il pubblico. La morte del piccolo Carlo, la depressione di Geppetto e il primo accenno di rapporto tra quest’ultimo e Pinocchio hanno infatti un effetto quasi monotono dovuto alla lentezza d’esecuzione e peccando, per questo, di una mancanza di magnetismo.
Più dinamica risulta invece la parte centrale, dovuta anche alla presenza di un atipico Lucignolo e di una location tanto diversa dal Paese dei Balocchi quanto effettiva per rendere più efficace il percorso di crescita del protagonista. Un percorso che sboccia in pieno proprio nel finale che risulta a tutti gli effetti la parte più magica del racconto.

IL FINALE


Cambiando la storia era logico aspettarsi anche una morale diversa, sia figlia del percorso affrontato dai personaggi, sia meno convenzionale e più adeguata ad una visione moderna. Il tutto amplificato da quella critica sociale e culturale a cui si accennava prima riguardo l’epoca fascista e la sua società di fantocci.
A tal proposito, Del Toro riesce ad unire al meglio gli elementi a sua disposizione partendo proprio da una società omologata per rendere ancora più netto il distacco finale dei suoi character. A spiccare è sicuramente Pinocchio, diverso dal personaggio classico che voleva a tutti i costi diventare “un bambino vero” per farsi accettare dalla società. Il Pinocchio qui presente è un agglomerato di legno mal intagliato che alla fine decide di seguire una strada diversa da quella imposta della società, portando a compimento il messaggio che il film vuole lanciare.
Pinocchio di Guillermo Del Toro parla infatti di perdita e dolore ma anche, e soprattutto, di identità. Alla fine, la più grande trasformazione che l’opera propone sta nel cambiamento opposto: è Pinocchio che spinge a cambiare e migliorare gli altri (da Geppetto, al Grillo Parlante), per un messaggio finale che riesce a far emergere un po’ di quella magia che qualsiasi favola, seppur così atipica, dovrebbe lasciare dietro di sé.


C’è ovviamente tanto di Del Toro in questa versione del tutto nuova di Pinocchio. Una versione più dark che, aiutata da colori, strutture e atmosfera generale, rispecchia in pieno le caratteristiche del suo regista. Non mancano poi i significati nascosti e le allusioni alle sue altre produzioni, rendendo a conti fatti il prodotto una vera e propria opera personale per Guillermo Del Toro. E alla fine, nonostante qualche inciampo, l’eccellente lavoro tecnico e artistico unito ad un finale fortemente suggestivo, consegnano un prodotto che vale sicuramente la pena guardare.

 

TITOLO ORIGINALE: Guillermo Del Toro’s Pinocchio
REGIA: Guillermo Del Toro
SCENEGGIATURA: Guillermo Del Toro, Patrick McHale

INTERPRETI: David Bradley, Ewan McGregor, Gregory Mann, Ron Perlman, Tilda Swinton, Christoph Waltz, Cate Blanchett, Finn Wolfhard
DISTRIBUZIONE: Netflix
DURATA: 117′
ORIGINE: USA, 2022
DATA DI USCITA: 09/12/2022

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Nata con la passione per telefilm e libri, cresciuta con quella per la scrittura. Unirle è sembrata la cosa più naturale. Allegra e socievole finché non trova qualcosa fuori posto, il disordine non è infatti contemplato.
Tra una mania e l'altra, si fa carico di un'estenuante sensibilità che la porta a tifare per lo sfigato di turno tra i personaggi cui si appassiona: per dirla alla Tyrion Lannister, ha un debole per “cripples, bastards and broken things”.

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