Sono cinque stagioni che The Handmaid’s Tale prepara il terreno per lo sviluppo della storia. Ma quale storia?
L’impressione dei primi cinque episodi (per non dire delle ultime stagioni) è confermata in questo sesto capitolo che rimbalza tra la ciclicità di alcune e storyline e il totale disinteresse generato dalle restanti trame. È chiaro che la narrazione abbia ormai deragliato dai binari e la sensazione pare proprio quella di voler allungare il brodo senza aver più nulla da raccontare. Il punto è proprio questo: non sembra esserci più nessuna storia da riportare e la conferma è che le azioni dei personaggi non stimolano più alcuna riflessione, perdendo quella potenza narrativa che caratterizzava così bene il racconto dell’ancella.
CICLICITÀ DELLA NARRAZIONE
Nello stato di Gilead si smuovono le acque tra i piani alti e l’omicidio del comandante Putnam segna una linea da cui non sarà possibile tornare indietro: viene per la prima volta riconosciuto uno stupro. Sebbene rappresenti solamente una dimostrazione di potere e non un vero disvalore attribuito al fatto, il gesto acquista comunque un certo valore simbolico, sigillato da una regia sempre impeccabile e una fotografia che gioca sui colori iconici della serie.
Tuttavia bisogna ammettere una certa ciclicità della narrazione, che se da una parte rafforza la serie, dall’altra rischia di cadere in qualcosa di già ampiamente analizzato. La violenza genera violenza e le sofferenze di Gilead generano altra sofferenza da cui sembra difficile staccarsi: è il processo che ha subito June, che si è manifestato altrettanto chiaramente nelle parole aggressive e liberatorie di Emily e che si conclude con l’assassinio di Waterford da parte delle ancelle. Allo stesso modo, anche al tavolo dei comandanti l’unico mezzo risolutivo del conflitto è la violenza. La forza punitiva di Gilead si manifesta solo tramite il disprezzo che genera disprezzo e se lo stupro rappresenta il mezzo di gestione del potere, il predominio sull’altro è il vero e unico fine. Che si tratti di un’ancella o di un comandante.
Altrettanto vero è che il gesto rafforza la potenza scenica della serie: così come nella terza stagione l’impiccagione di alcune ancelle avvenne ad opera delle stesse ancelle, la sentenza di Putnam è eseguita dagli stessi comandanti. Un meccanismo che di primo acchito sembrerebbe di responsabilizzazione per i crimini commessi da un’autorità e che invece è un chiaro atto di deresponsabilizzazione per tutti i crimini commessi in privato da ciascun comandante. La pena, in Gilead, è sempre esemplare e Putnam è solo un capo espiatorio di un sistema ben più marcio di quello che vuole far vedere.
IL VERO PUNTO DOLENTE PERÒ È…
… June. Le vicende della protagonista hanno perso la potenza scenica ed emotiva delle prime stagioni. La dimostrazione è che in questo episodio la prigionia di Luke e June ha solo una funzione riempitiva, funzionale all’incontro finale tra June e Serena.
Il personaggio di Elisabeth Moss ha perso centralità e l’interesse nei confronti del suo screentime tende a scemare sempre di più, episodio dopo episodio. Una volta messo piede in terra natia, June non ha mai iniziato la sua vera lotta, così come non è mai iniziato il suo percorso di guarigione/presa di consapevolezza/vendetta/confronto o qualsiasi sviluppo si voglia affibbiare al personaggio. Nonostante alcuni momenti intensi della scorsa stagione, quali la testimonianza al processo o l’omicidio di Waterford, il resto della narrazione si è concentrato su una June che migra da un episodio all’altro senza dire o fare alcunché di significativo per la trama. Non c’è nulla che in questi primi sei episodi conduca a una riflessione o una consapevolezza circa la psicologia del personaggio. Le azioni di June sembrano molto lasciate al caso, esattamente come la scrittura di questa quinta stagione.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
The Handmaid’s Tale colleziona un episodio filler dopo l’altro senza avere più nulla da aggiungere a una storia già conclusa da tempo.
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Tags:
Lunatica, brutta, cinefila e mancina. Tutte le serie tv sono uguali, ma alcune sono più uguali delle altre.