The Handmaid’s Tale 4×10 – The WildernessTEMPO DI LETTURA 6 min

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The-Handmaid-s-Tale-4x10Nolite te bastardes carborundorum. Non consentire che i bastardi ti schiaccino.
Scritta, probabilmente con il sangue della vittima, la frase simbolo della serie HULU (comparsa per la prima volta nell’omonimo episodio della prima stagione) fa capolino sotto i piedi a penzoloni di Fred Waterford, brutalmente assassinato da numerose donne nella tetra e fredda foresta che si staglia tra USA e Canada. Una terra di nessuno, dove June rivendica il proprio potere su Fred, sugli uomini e sul proprio destino decidendo di vendicarsi brutalmente del suo spietato aguzzino. Un atto feroce, che nuovamente viene portato avanti dalla massa, esattamente come mostrato nei primi episodi della prima stagione.

“Il vero boia è la massa. La condanna capitale che inflitta in nome del diritto suona astratta e irreale, diventa vera quando è eseguita dinnanzi alla moltitudine.”
(Massa e Potere, Elias Canetti)

Il vero boia è la massa”: ecco, quindi, che armata di fischietto June chiama a raccolta le sue amiche, le sue compagne e la moltitudine condanna e si riversa sul corpo inerme (lo è ora, non lo era prima) dell’ormai ex comandante. Un’azione che avrà delle sicure conseguenze e che potrebbe “non essere abbastanza” per June, come correttamente appuntato da Joseph durante il loro breve e conciso incontro.
Una sequenza che raccoglie la brutalità di questa serie che cerca in tutti i modi di mettere di fronte agli occhi dello spettatore un racconto feroce, violento e senza alcuna pietà.

GIUSTIZIA PRIVATA


La puntata riparte il giorno successivo alla violenta promessa di morte fatta da June a Tuello dopo la scoperta dell’apertura alla collaborazione da parte di Fred che avrebbe portato alla sua totale assoluzione dai capi di accusa. Un’apertura di puntata votata a rievocare i fantasmi più crudi del recente passato di June: gli stupri, l’impossibilità di sentirsi se stesse, l’obbligo al silenzio, l’annientamento dell’individuo, venire schiacciate. I flashback si alternano al presente e ai dialoghi (e ovviamente ai primi piani) di Elisabeth Moss in un turbinio di emozioni che riescono a riportare a galla più di qualche sporadico avvenimento delle precedenti tre stagioni.
Tre stagioni dense di mortificazione e crudeltà che il comandante Waterford sembra tentare di spazzare via con un discorso costruito a tavolino che si conclude con un blando “mi dispiace”. Delle scuse non sentite e non percepite, a sua volta, da June che ascolta sorridendo beffardamente ma che, in cuor suo, non può accettare l’onta che si sta compiendo in Canada.
Le scuse di Waterford non possono essere accettate: Sarah, Elie, Brianna, Alma, Janine, Moira, June sono solo alcuni dei nomi delle ancelle costrette a convivere con l’incubo di una segregazione sociale violenta, disumana e che ha totalmente cancellato i diritti di un numero indefinibile di persone. Questa non può essere giustizia, non per le ancelle morte a Gilead, non per June. L’incontro con Fred, e quello successivo con Joseph, sottolinea proprio questo desiderio viscerale di vendetta.
Parallelamente, Tuello si ritrova a dover fare i conti con Fred e Serena che lentamente stanno prendendo sempre più spazio e voce all’interno della comunità canadese: un agente che li segue; la richiesta di chiamare Fred “comandante”; la necessità di cambiare la donna che interroga Fred per il tono eccessivamente sprezzante. Insomma, la possibilità di ripulirsi la coscienza e la fedina penale riempiono nuovamente di boria e di sprezzo verso il prossimo i due coniugi, un atteggiamento il loro che sembrava essere scomparso dal giorno della loro cattura in territorio canadese.

UTILITARISTI E KANTIANI


La sequenza più importante dell’episodio è ovviamente quella riguardante l’omicidio legalizzato nei confronti di Fred perpetrato da June e da tutte le altre ancelle (e non) chiamate a raccolta nei gelidi boschi della terra di nessuno.
Una sequenza che deve portare lo spettatore ad allontanarsi momentaneamente dall’ambiente di finzione della serie tv e domandarsi dove si trova la linea di demarcazione tra giusto e sbagliato.
Immanuel Kant aveva appuntato che usare un individuo per i propri personali fini è sbagliato, mentre è giusto agire secondo i principi accettati da tutti.
Diversamente, John Stuart Mill sosteneva che le regole per stabilire cosa fosse giusto e cosa sbagliato dovevano puntare a conseguire il maggior bene per il maggior numero di individui anche se qualcuno rischiava di rimetterci. L’utilitarismo si contra con il pensiero di Kant e, mai come in questo episodio in The Handmaid’s Tale, obbliga a chiedersi quanto sia giusto tutto quello che sta avvenendo.
June ha portato a termine una vendetta che non la riabiliterà in alcun modo psicologicamente (i fantasmi continueranno ad inseguirla), anzi la renderà una figura ancor più torbida agli occhi del pubblico e di Luke, sottolineando in maniera incontrovertibile il suo cambiamento dopo la clausura in Gilead. Da questo suo atto totalmente egoistico, tuttavia, June è riuscita a trarre qualcosa anche per gli altri, ottenendo di portare in salvo in Canada ventidue donne tenute in ostaggio/prigionia a Gilead. Ventidue persone al costo di un solo, meschino, individuo. Ma pur sempre un’azione immorale agli occhi di Kant.
Parallelamente, poi, si costruisce un secondo pericoloso punto di congiunzione: a Gilead lo stupro era letteralmente legalizzato e giustificato da un credo religioso autoimposto da una comunità che vedeva la donna come mero strumento di procreazione; tra Canada ed Usa, la terra di June, è l’omicidio ad essere legalizzato, giustificato da un pregresso comportamento errato da parte del condannato. Ma si tratta, evidentemente, di due comportamenti illegali ed indistinguibili se si raggruppa tutto in due categorie (legale e illegale) “per poi alla fine negare tutto il resto”.
Dubbi filosofici a parte, l’episodio porta in scena la consueta eccelsa qualità registica e fotografica che la caratterizza la serie fin dal 2017. Qualche primo piano di troppo ad Elisabeth Moss ed un incedere forse troppo marcato sul volto della protagonista, ma si tratta di un dettaglio che si può facilmente perdonare se il risultato ultimo è un episodio del calibro di “The Wilderness”. Qualche piccolo neo, ovviamente, c’è ma nel complesso la stagione è riuscita a riprendersi da uno schema narrativo (fuga-cattura-fuga), in cui sembrava essersi inceppata in loop, approdando in Canada. Un approdo fortunoso per la serie, ma una scelta che ha dato allo show nuovo spazio narrativo e nuove prospettive per il futuro.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Regia e fotografia
  • Nick, Joseph e Fred
  • “This is absurd. This is insanity! I have rights! I’m a man, and I have rights! Do you hear me, Tuello?“: Well, well, well. How the turntables…
  • I fantasmi di June
  • L’incontro tra Fred e June
  • L’addio inconsapevole tra Fred e Serena
  • Il rapimento di Fred, la sua liberazione, “Run” e l’omicidio
  • Il dito tagliato a Fred e consegnato a Serena: dettaglio ironico e voluto? Probabilmente sì
  • “Nolite te bastardes carborundorum”
  • Elisabeth Moss feticcio di regia e fotografia
  • Organizzare l’omicidio di massa non deve essere stato sicuramente semplice in così poco tempo

 

“…che i bastardi non ti schiaccino”. Mai.

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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.

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