The Handmaid’s Tale 4×07 – HomeTEMPO DI LETTURA 6 min

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The Handmaid's Tale 4x07 recensioneDopo quarantadue episodi passati a Gilead finalmente è arrivata la tanto attesa svolta di trama, essenziale per venire fuori da una certa ripetitività di meccanismi ed emozioni. Se “Vows” ha preparato il terreno traghettando la protagonista verso un cambio di rotta importante, “Home” fa poggiare il piede di June sul suolo canadese, segnando, da qui in poi, la vera rivoluzione.
L’episodio è ad alto tasso emotivo: il ritorno alla civiltà è devastante e l’ansia e l’aggressività repressa prevalgono sulla felicità di aver ritrovato i propri cari e di essere finalmente libera. Purtroppo è chiaro fin da subito che libertà è ancora una conquista lontana per June che, senza le catene della dittatura, è ora schiava dei suoi sentimenti di rancore e vendetta che non le permettono di assaporare il ritorno a casa.
D’altronde non potrebbe essere diversamente. La scena del supermercato è la perfetta metafora della psiche di June: lì, dove tutto è iniziato, in un luogo imperniato di normalità, June ritorna alla normalità di Gilead dove soprusi e dolore hanno scandito il passare del tempo.

“I brought myself here. So that I could tell you how much I hate you.”

DA VITTIMA A CARNEFICE


L’omicidio della signora Lawrence nella scorsa stagione aveva iniziato a segnare il tracciato e questa stagione sembra decretare il punto di arrivo per la protagonista, sempre più vicina al suo lato oscuro.
L’incontro con Serena rappresenta l’exploit della metamorfosi di June che vede finalmente l’occasione di esercitare il potere sulla sua nemesi, sfogando rabbia e frustrazione in una delle scene più intense della serie. Il rapporto tra le due ha caratterizzato da sempre il racconto di The Handmaid’s Tale e, pur personificando ideali differenti, Serena e June si sono ritrovate più volte a combattere sullo stesso fronte nel disperato tentativo di salvare le rispettive figlie.

“You have destroyed my life, my family, my friends, my country, and my child. There is no one less worthy of redemption than you.”

Due facce della stessa medaglia che si sono da sempre confrontate su un terreno comune, quello di Gilead, dove la donna, ancella o moglie che sia, è serva del padrone. Una condizione di schiavitù da cui non è possibile scappare: il potere che ha esercitato a suo tempo Serena su June era illusorio, funzionale solo ad autoconvincere Mrs. Waterford di essere libera poiché padrona della libertà altrui. 
E in un certo senso è quello che accade oggi a June, che nel gettare addosso alla nemica tutta la sofferenza e la cattiveria ricevuta, si illude di liberarsi di un dolore di cui in realtà è ancora schiava. Il desiderio di vendetta anima June per tutto l’episodio, a dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, che l’odio genera altro odio e che nessun essere umano che abbia sostato per le vie di Gilead potrà mai sentirsi davvero al sicuro, nemmeno tra le mura di casa.
In un rovesciamento di ruoli, il potere esercitato con foga e disprezzo culmina in quelle parole, così dense di significato, da suonare come un punto di svolta, dalla quale sarà difficile tornare indietro:

“Do you understand me?”

Ora che il destino di Serena è nelle mani di June, quest’ultima sente esplodere il bisogno di ricerca del potere che le è stato tolto, su sé stessa, sul suo corpo, e su Serena. 
Non per ultimo va considerato, infatti, il gesto di potere nei confronti di Luke. Un’ennesima conferma della personalità di June, ormai plasmata dalle brutture subite in silenzio che, se a un primo acchito sembrerebbe che possano averla fortificata, in realtà l’hanno lentamente indebolita fino a farle cedere al proprio lato oscuro, in una rabbiosa ricerca di vendetta, più che di giustizia.
L’episodio costruisce perfettamente il crescendo di sensazioni che abitano la mente di June, che passa da uno stato di shock iniziale a una presa di posizione netta nei confronti di sé stessa e del mondo circostante. Non può pertanto non notarsi come il monologo finale, dedicato a Serena Joy, celi in realtà i tratti di June stessa, ormai sempre più vicina alla sua carnefice. 

“She’s pathological. She’s a sociopath. She’s toxic and abusive. She’s a monster. And by the way, consummate actress. Hatred and rage. And underneath all of that there’s nothing but pure misery. And she’ll do anything not to feel that way. Anything to feel ok. Even just for a second. She’ll do anything to get what she wants. Lie to you. Hurt you. Rape you. So if you feel yourself getting sucked in by her, run. Run for your life.”

RIFLESSIONI A MARGINE


Giunti a tre passi dal finale, non si possono evitare alcune, ridondanti ma doverose, considerazioni circa l’andazzo della stagione corrente.

1. E’ stato già più volte sottolineato nelle precedenti recensioni come la serie si sia stagnata in situazioni già viste e già ampiamente analizzate, a discapito di narrazioni che invece avrebbero richiesto più attenzione e minutaggio. 
Uno su tutti il personaggio di Serena, uno dei personaggi più belli della serie, ormai completamente abbandonato sin dalla stagione precedente. L’iniziale lavoro fatto sul character interpretato da Yvonne Strahovski era un disegno di chiaro scuri per una personalità fragile e complessa, nascosta dietro un’autorità (che in realtà non ha mai detenuto) e una cattiveria che ha sempre e solo denotato un bisogno incondizionato di affetto. Tuttavia il personaggio, sia nel presente episodio che nei precedenti, funge a malapena da comparsa, gettando via tutto il minuzioso lavoro fatto nelle prime stagioni. Un gran peccato.

2. La lentezza, connotato da sempre presente in The Handmaid’s Tale, diventa un problema quando abbinata a una trama sempre più sbiadita e inconsistente. Al termine della seconda stagione June decide di rimanere a Gilead per Hannah: da lì in poi la trama sembra in balia degli eventi, in una sceneggiatura che non pare avere un’idea precisa del punto di approdo della storia. Non è ancora chiaro dove la serie voglia arrivare, certo è che il tortuoso percorso che ha portato a questa svolta di trama ha sofferto di una scrittura confusionaria e posticcia. 

3. Quello che manca davvero in questa quarta stagione è ciò che ha alimentato, sin dagli albori, la serie. The Handmaid’s Tale si presentava come un racconto di sofferenza, dolore, resistenza e speranza. Il bagliore di speranza sorreggeva le vite di tutti: essa rappresentava la scintilla della resistenza che, in giornate sempre più grigie e desolanti, spronava a combattere gli oppressori. Ma anche questo tratto sembra essersi perso in questi nuovi capitoli della serie, concentrati ormai unicamente sul personaggio di June.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Finalmente la tanto attesa svolta
  • Focus sulla psicologia di June
  • June e Serena 
  • Scena al supermercato
  • Un episodio ad alto impatto emotivo
  • Il personaggio di Serena non è soltanto l’antagonista da contrapporre a June, ma un personaggio autonomo e fondamentale nella storia
  • Trama ancora poco chiara
  • Il racconto del dolore non può rinunciare alla speranza 
  • Anche il racconto politico è ormai totalmente assente

 

Una svolta importante per la serie che si becca il primo semaforo verde della stagione, grazie al disegno di una protagonista non più vittima, ma sempre un po’ più carnefice.

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