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Lovecraft Country 1×02 – Whitey’s On The MoonTEMPO DI LETTURA 6 min

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A rat done bit my sister Nell.
(with Whitey on the moon)
Her face and arms began to swell.
(and Whitey’s on the moon)
I can’t pay no doctor bill.
(but Whitey’s on the moon)
Ten years from now I’ll be payin’ still.
(while Whitey’s on the moon)
(Gil Scott-Heron, Whitey’s on the moon, 1970)

 

Ingranando la marcia, per usare un eufemismo, in maniera decisamente sconvolgente, questo secondo episodio della serie creata da Misha Green mette a segno diverse lezioni, di scrittura e non solo, nei confronti di numerose “colleghe” televisive contemporanee, candidandosi prepotentemente ad essere annoverata quantomeno tra gli show più originali e ambiziosi dell’anno.
La prima, forse più chiara ed esplicita, è quanto può essere ricco di eventi un singolo episodio, a dispetto invece di tanti altri casi in cui l’ora di minutaggio è stata talmente male sfruttata da sembrare addirittura riduttiva. Anzi, probabilmente in questo “Whitey’s On The Moon” finiscono con l’avvicendarsi anche troppe cose. Dopo un pilota che, al contrario, nella prima parte si prendeva tutto il suo tempo per presentare i protagonisti e l’ambientazione del racconto (magari anche eccessivo, come riscontrato nel recensirlo), nel secondo capitolo si consuma, tutta in una volta, la parabola della loggia, dalla sua introduzione alla sua distruzione finale, concludendosi addirittura con la sorprendente quanto tragica e commovente morte di Zio George. Tutto materiale che in altre produzioni sarebbe stato usato probabilmente per una stagione intera, da cui si evince, quindi, una certa padronanza dei tempi del racconto.
Non perfetta, va detto, con certi passaggi che risultano anche troppo veloci e immediati, vedi la “nobile” discendenza di Atticus riconosciutagli dallo Zio (e senza un’apparente valida prova), col rischio di causare anche un po’ di confusione nello spettatore, o quantomeno di perdita d’efficacia sullo schermo, specie nella scena dell'”agnizione” di Tic davanti a tutti i “Figli d’Adamo“, per esempio. D’altro canto, il trasporto emotivo che la scomparsa di George scatena, testimonia tutta la buona riuscita nella scrittura del personaggio e del suo arco narrativo, come detto durato “solo” due episodi. Resta, quindi, comunque ammirabile la volontà esplicita di non perdersi in chiacchiere, come si suol dire, aspetto che fa soprattutto ben sperare per il prosieguo della stagione, perché vorrebbe dire possedere molte altre frecce al proprio arco da scoccare ancora.
L’altra lezione impartita da “Whitey’s On The Moon”, più riflessiva quanto potente nei fatti, riguarda invece quanto le serie televisive (o meglio, in generale, qualsiasi racconto di finzione) possano essere lungimiranti, se non premonitrici, rispetto all’attualità, specie se di questo stampo (ovvero fantascientifica ma con una chiara impronta metaforica). Come già accaduto, qualche mese fa, con la versione di Watchmen di Damon Lindelof, la tematica razziale al centro dell’intera trama di Lovecraft Country trova un riscontro diretto negli odierni fatti di cronaca degli Stati Uniti, nella settimana delle rivolte causate dai sette colpi di pistola inferti a Jacob Blake da parte di un agente di polizia, culminata, mentre si scrive, nel clamoroso boicottaggio dei playoff NBA da parte degli stessi giocatori. C’è allora tanto del produttore (in questo caso) Jordan Peele, in particolare del suo fulminante esordio Scappa – Get Out, in merito a tutto questo, specie nella prima parte dell’episodio, in cui l’ospitalità estrema riservata al trio protagonista, da parte dei “ricchi e bianchi” Braithwhite nasconde (come si può notare, neanche troppo velatamente) intenzioni decisamente oscure e malvagie. Alla ormai “solita” rivisitazione di Indovina Chi Viene A Cena, stavolta si aggiunge, oltre all’ovvia ispirazione lovecraftiana, il best-seller per eccellenza, ovvero la Bibbia. Tanti sono infatti i riferimenti, alla luce del sole, che si susseguono, dai “Figli d’Adamo” al peccato originale di Eva (con il serpente che cerca di possedere Laetitia) fino alla “genesi” e al miracolo della nascita dei mostri-vampiri. Nell’illusione della parità sociale (se non della supremazia) di Atticus e George a tavola con gli altri “Figli d’Adamo” e nella successiva sconfitta del protagonista, costretto a sottomettersi alla loro volontà, c’è allora tutta l’appropriazione culturale dei bianchi protestanti di un racconto che, appunto, dovrebbe in realtà abbracciare indistintamente ogni essere umano. Una discrepanza che infatti esplode nella meravigliosa scena del suo “sacrificio” in cui risuona l’iconico testo di “Whitey’s On The Moon”, storico brano del musicista afroamericano Gil Scott-Heron, in cui metteva in contrapposizione la celebrazione dell’allunaggio all’ineguaglianza socio-culturale che imperversava nel paese negli anni Settanta. Una sequenza assurda, spettacolare e tanto lovecraftiana, capace di racchiudere, al tempo stesso, tutta l’essenza della serie (o almeno, per come si è presentata in questi primi due episodi).
Nella visione della madre, che il “portale” scatena in Atticus e che porta all’esplosione che distrugge nuovamente l’intera loggia in un ciclo senza fine, c’è invece l’uguaglianza assoluta di fronte alla devastazione, alla morte e, ancor più in generale, agli orrori della natura umana. In questo caso non c’è distinzione di colore della pelle o culturale che tenga e “Whitey’s On The Moon” celebra, infine, anche tutto questo. Dai traumi della guerra rivissuti ancora oggi da Tic, ai rimpianti verso amori abbandonati di George e infine, soprattutto, la famiglia e tutto quello che di bene e male comporta in ognuno di noi. Un tema ricorrente per tutto l’episodio, tanto nella trama, vedi la già menzionata discendenza di Tic, quanto nella psicologia dei protagonisti, con le colpe delle madri (nel caso di Latitia “Fucking” Lewis), ma soprattutto dei padri che ha segnato nel profondo ogni personaggio. Un ciclo senza fine, appunto, tramandato di di generazione in generazione, che accomuna, non a caso, Atticus e la sua “nemica” Christina Braithwhite; che divide Atticus e suo padre (come si può notare fin dalla mitica entrata in scena di Omar di The Wire di Montrose); che a sua volta ha diviso in passato i due fratelli Freeman e che, nel finale, tragicamente li unisce, per l’ultima volta.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Tutta la scena di “Whitey’s on the moon”
  • Le tre visioni del trio protagonista
  • La prima parte che urla Jordan Peele in ogni “inquietante” frame 
  • Bibbia+Lovecraft
  • La nascita del mostro-vampiro
  • L’entrata in scena di Montrose, ovvero il memorabile Omar di The Wire. Chi ha visto, sa
  • La sconvolgente attualità della tematica razziale, quasi un manifesto del #BlackLivesMatter
  • La ricchezza di eventi dell’episodio… 
  • … anche troppi, con alcune svolte di trama eccessivamente immediate, in particolare la discendenza di Tic e, di conseguenza, l'”agnizione” di fronte ai “Figli d’Adamo” 

 

Guardando Lovecraft Country si può star certi di una cosa: nel bene o nel male di certo non ci si annoia, anzi. Si è ben lungi, ancora, dalla perfezione, ma le “lezioni” che un episodio del genere impartisce a tante altre serie tv contemporanee meritano il nostro “ringraziamento”.

 

Sundown 1×01 0.76 milioni – 0.2 rating
Whitey’s On The Moon 1×02 0.86 milioni – 0.2 rating

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