Era il 2013 e Blockbuster chiudeva le serrande abbandonando a sé stessi i pochi store resi rimasti, in crisi e destinati al fallimento. Blockbuster è uno dei principali simboli del cambio generazionale e infatti un ragazzino di quindici anni probabilmente non saprà nemmeno cosa sia un videonoleggio. Senza quasi accorgersene le abitudini sono cambiate in poco meno di dieci anni, passando dal noleggiare film ad abbonarsi a piattaforme che mettono a disposizione dei propri clienti interi cataloghi di prodotti. Parte proprio da questo la serie di Vanessa Ramos (già autrice di un’altra amata sitcom come Brooklyn Nine-Nine), che vuole raccontare le vicissitudini dell’ultimo negozio Blockbuster rimasto aperto sulla Terra.
La storia si ispira parzialmente al “The Last Blockbuster“, ovvero il vero ultimo store superstite ancora oggi situato a Bend, in Oregon, protagonista anche di un documentario omonimo. Di fatti il concept della nuova sitcom targata Netflix è già divertente di per sé, visto che nell’opinione comune è proprio Netflix il principale responsabile del fallimento di Blockbuster. Senza considerare che agli inizi degli anni 2000 proprio il colosso del videonoleggio rifiutò di acquisire la neonata Netflix per 50 milioni di dollari. Tutti elementi che Vanessa Ramos può finalmente sfruttare in un progetto che sulla carta promette tanto ma nella realizzazione si dimostra piuttosto superficiale.
GLI ULTIMI SUPERSTITI
L’antefatto dello show è molto semplice e si consuma proprio nei primi minuti del pilot. La sede centrale di Blockbuster chiama il negozio gestito da Timmy, interpretato da Randall Park (WandaVision), per comunicare che l’azienda è fallita e, fondamentalmente, che ora sono c***i amari. Il negozio è gestito da un nutrito cast di dipendenti, tutti molto eterogenei e diversi tra loro. La narrazione riesce a mostrare molto dei diversi comprimari forzando però la mano. Le tante informazioni fornite si traducono in fin troppi dialoghi, la maggior parte delle volte forzati e inutili, non richiesti. Una scelta di scrittura che fa più male che bene, visto che lo spettatore a fine visione avrà la testa piena di informazioni su personaggi che non interessano minimamente. Una sitcom richiederebbe un approccio più leggero, volto a far conoscere col tempo i diversi personaggi, quasi come fossero amici da scoprire un po’ alla volta. In Blockbuster, invece, i personaggi sembrano quasi dei tizi che vogliono per forza apparire simpatici ad ogni costo, finendo per fare la figura degli stupidi. Non bene.
VECCHIO COL VESTITO NUOVO
Altro problema di Blockbuster è che appare sin da subito come una sitcom old-style. Peccato per il vestito da “serie contemporanea” che cerca di cucirsi continuamente addosso. Si parte dalla tipologia di episodi: dieci da 25 minuti. Una via di mezzo tra la durata classica delle sitcom e il numero ormai impiegato per i drama moderni, ottenendo un risultato complesso e difficile da sbrogliare persino per gli autori. I minuti di una stagione sono drasticamente ridotti, e di conseguenza tutto deve avvenire in maniera frettolosa, come Timmy che dichiara il suo amore per Eliza (Melissa Fumero). Tuttavia, non tutto è da buttare, come il messaggio di fondo, anche se non potrà essere l’unico spunto per portare avanti i personaggi. C’è da dire anche che l’episodio in generale migliora verso la fine del secondo atto, riuscendo quindi a rimandare il giudizio dello spettatore sull’intera serie almeno agli episodi successivi.
META-REFERENZIALE
Ultimo elemento portante di Blockbuster è la sua ricorrenza alle citazioni cinematografiche. La sitcom Netflix potrebbe infatti essere un piccolo guilty pleasure per cinefili, da guardare a tempo perso, per non uscire troppo dalla comfort zone e vedere altri cinefili fare il lavoro più cinefilo del mondo. Sono infatti apprezzate tutte le citazioni a piccoli cult da parte dei protagonisti, seppur facciano presto a divenire totalmente gratuite. Anche la meta-referenzialità a Netflix e tutto il resto sono simpatiche e riescono a strappare qualche sorriso, ma servirà ben di più a Vanessa Ramos per conquistare i cuori degli spettatori.
Timmy: “Remington, we, as society, have lost something huge. Each other. Shopping, buying party supplies, and, yes, even renting a movie used to be our chance to interact with a familiar face. But big corporations like Amazon stole that. It’s why people are pissed off nowadays. Because you can’t replace getting to know a person with a computer program or the smiling of a stranger with a smiling box. This party was our way of reminding people. So if you agree, come sign up for a Blockbuster membership at the Grand Mill Shopping Center, and together, our community can do something that no other community has done, keep Blockbuster Video alive.”
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Il pilot di Blockbuster non è una buona partenza per la nuova sitcom di casa Netflix. Nonostante l’high concept (qualcuno ha detto Boris?) la scrittura è troppo pigra, forse anche a causa della struttura della serie in sé. Tuttavia, i nomi dietro al progetto e una chiusura in salita riescono a convincere lo spettatore a proseguire con la visione. Un rimandato, ma non una promozione.
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Giovane musicista e cineasta famoso tra le pareti di casa sua. Si sta addestrando nell'uso della Forza, ma in realtà gli basterebbe spostare un vaso come Massimo Troisi. Se volete farlo contento regalategli dei Lego, se volete farlo arrabbiare toccategli Sergio Leone. Inizia a recensire per dare sfogo alla sua valvola di critico, anche se nessuno glielo aveva chiesto.