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Elegia Americana

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J.D Vance, ex marine e studente di giurisprudenza a Yale, è ad un passo dal coronare il suo sogno quando riceve una chiamata che lo riporterà a casa, nel profondo Ohio. Elegia Americana é il nuovo film di Ron Howard, un dramma sul sogno americano moderno.

 

“The American Dream” è il motto americano per eccellenza, talmente famoso da essere diventato uno slogan. Il mito della frontiera, la retorica secondo cui non importa in quale famiglia si nasca, in che cittadina si cresca o quanti soldi ci siano sul conto in banca: con disciplina, studio, e determinazione si può diventare qualsiasi cosa si voglia. Un’immagine patinata che per molti, e per molto tempo, è stato un miraggio. Parte da qui il nuovo film di Ron Howard, uscito su Netflix il 24 novembre. Ad alzare le aspettative erano molti i fattori (oltre al nome dietro la macchina da presa): tratto dal memoir di J.D. Vance diventato un best-seller in America, adattato dalla sceneggiatrice Vanessa Taylor (candidata agli Oscar del 2018 alla migliore sceneggiatura originale per The Shape Of Water) e con Glenn Close e Amy Adams nel cast.
Elegia Americana abbraccia tre generazioni viste dal punto di vista di J.D. Vance che ha vissuto l’infanzia e l’adolescenza con una madre violenta e con problemi di tossicodipendenza, con la nonna Mamaw che si è sempre presa cura di lui e la sorella Lindsay con la quale condivide il carico di essere figli di una famiglia disastrata. Una voglia di riscatto che ha colpito J.D. tanto da spingerlo ad arruolarsi e poi a diventare uno studente di legge nella prestigiosa università di Yale, aprendogli le porte di un raggiante futuro.

It is the year of our Lord 1997, an age of prosperity. The magnificence of God’s creation, the bounty of this Earth, the miracle of modern life have never been so resplendent to our eyes. Yet for some of us, the American dream, the singular hope of our people, remains ever out of reach. And though we may feel embittered, want to rail at injustice, even in our God. And though others may scorn our beliefs, let us hold faith not only in that God, but in ourselves and our character

La terra delle opportunità è descritta da Howard contrapponendo due mondi opposti fin dall’inizio. Anzi fin dal titolo. Hillbilly Elegy (di difficile traduzione, difatti è stato tradotto con Elegia Americana) rappresenta bene i due mondi: Hillbilly è un termine nato come dispregiativo per indicare gli abitanti delle zone rurali e montuose americane giudicate arretrate e violente, col tempo invece è diventato un nomignolo per tutte quelle persone autosufficienti che rifiutano la modernizzazione della società. In una delle prime scene, durante una cena nella settimana dei colloqui (molto in voga nei college prestigiosi, sono dei giorni in cui gli studenti possono farsi conoscere da aziende e compagnie di spicco), un avvocato chiede a J.D. come si sente ogni volta che torna in Ohio, un pianeta completamente diverso rispetto alla sofisticata Yale, abitata da “tutti quei bifolchi” (in inglese rednecks: altro termine dispregiativo utilizzato per indicare qualcuno che appartiene alla fascia medio-bassa della società americana).
Nel momento in cui torna a casa, sia J.D. che lo spettatore sono risucchiati nei drammi familiari che son sempre gli stessi, sia visti con l’ottica di un ragazzo nel ’97, sia quando il protagonista è adulto. É tramite i flashback che viene mostrata la storia della famiglia Vance, gli abusi e la violenza a cui ha assistito e di cui è stato vittima. L’archetipo della Grande Madre Terribile, tanto amata nella psicanalisi e nelle fiabe, è stata accolta nel cinema solo sporadicamente e relegata soprattutto al genere horror; Howard sembra rifarsi, più che agli horror, a quel filone del genere drammatico al quale appartiene anche Mammina Cara (1981). Mamaw Vance (Glenn Close) e Bev (Amy Adams) rappresentano quella metà oscura della violenza domestica che il cinema per molti anni non voleva ritrarre, prediligendo la classica figura della mamma amorevole, la roccaforte della famiglia da Mulino Bianco.
Sebbene le premesse potessero sembrare ideali, è proprio la regia che non riesce a supportare la narrazione. Howard è famoso per essere un sostenitore della struttura classica che ha troneggiato nel cinema hollywoodiano per cinquant’anni ma, in questo caso – al contrario di molti suoi lavori precedenti come Rush, Cindarella Man, A Beautiful Mind – , la regia minimale e lineare non fa altro che diluire il dramma che sta raccontando, non riuscendo nemmeno a dare il giusto rilievo all’ottimo lavoro delle due attrici protagoniste. A risentirne è anche lo sfondo socio-economico dell’America delle periferie caratterizzata dal degrado, dalla crisi economica, dalla disoccupazione. L’ambientazione storica, che dovrebbe essere un tassello fondamentale nell’infanzia del protagonista e di tutte le famiglie che circondano casa Vance, fa solamente da contorno, senza essere sufficientemente approfondita.
La vita di J.D. Vance è una perfetta storia d’emancipazione che segue, passo per passo, l’ideologia del sogno americano moderno: un giovane che non si è scrollato di dosso la sua famiglia – per quanto disfunzionale essa possa essere – ma che l’accetta così com’è e che si rimbocca le maniche non solo per garantire un futuro migliore per se stesso, ma anche per i propri cari.


L’ultimo lavoro di Ron Howard non merita le pesanti critiche che sta ricevendo – soprattutto dai critici d’oltreoceano – che lo descrivono come “terribile” o “inguardabile”, ma da un regista in grado di raccontare magistralmente dei drammi umani, l’importanza dei legami umani e familiari, ci si aspettava indubbiamente di più.

 

TITOLO ORIGINALE: Hillbilly Elegy
REGIA: Ron Howard
SCENEGGIATURA: Vanessa Taylor

INTERPRETI: Glenn Close, Amy Adams, Owen Asztalos, Gabirle Basso, Freida Pinto
DISTRIBUZIONE: Netflix
DURATA: 117′
ORIGINE: Stati Uniti D’America, 2020
DATA DI USCITA: 24/11/2020

 

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