Continua il disturbante e per nulla rassicurante viaggio nella New York gay del 1981, tra scene di violenza sempre al limite e un’interessante analisi della comunità omosessuale di quel periodo, forse nella stagione più autentica finora vista e scritta da Falchuk and Murphy.
LA STAGIONE PIÙ AUTENTICA… SEMBREREBBE
È evidente come raccontare la comunità omosessuale e le sue dinamiche sia una cosa a cui Murphy tiene molto. A volte l’ha fatto più tangenzialmente con approcci diversi: derive pop e leggere (vedi Glee), altre più drammatiche (Pose). È soprattutto nei film, però, che l’ha fatto con più coinvolgimento.
Lavori come The Normal Heart o The Boys In The Band, entrambi adattamenti di due famose e seminali opere teatrali con tema la difficoltà incontrate dalla comunità omosessuale nella storia, hanno dimostrato quanto dietro i suoi barocchismi e le sue trame inconcludenti si possano celare racconti più sentiti e coinvolgenti. Va detto che già qui si può veder emergere il suo grosso limite di scrittura: la tendenza a perdersi nello sviluppare una trama quando è lui a idearla mentre se ha già un plot funzionante riesce a focalizzarsi più efficacemente sulla narrazione. Qui ci si trova nel mezzo.
Da un lato una storia profonda e disturbante, con molti personaggi umani e interessanti, dall’altra una trama elaborata da lui, con tutti i timori del caso.
LA LETTURA DELLE CARTE
Dei due episodi qui recensiti, il quinto sembra essere quello che gira più a vuoto ma, allo stesso tempo, è quello che sviluppa un po’ la trama sovrannaturale. Le modalità narrative sono sempre le stesse: accumulare più situazioni, spesso ai limiti del verosimile, che normalmente non portano da nessuna parte ma che in questo caso servono a raccontare meglio i personaggi e le loro paure più profonde.
Si prenda per esempio la parte relativa alla sedicente nuova cartomanti. Introdotta in maniera intrinsecamente poco credibile crea la possibilità di esplorare meglio quello che sembra il tema di fondo legato alla comunità omosessuale di quel periodo: la mancanza di sincerità e di reale fratellanza che (non) unisce tra loro gli omosessuali, contrastando quell’immagine idilliaca venduta da molte narrazioni del periodo aureo della scena prima dell’arrivo dell’AIDS. Se la parte legata al sesso sembra confermarla pienamente, Murphy e Falchuk mostrano come fuori da quelle situazioni “ludiche” non esiste affatto una comunità solidale ma, anzi, ognuno sembra perdersi nelle proprie apparenze, nascondendo più le proprie paure che l’appartenenza ad un gruppo. In sostanza, nessuno riesce ad essere sincero con chi dovrebbe o potrebbe amarlo, condannandolo ad una solitudine temporaneamente mitigata dal piacere fisco.
L’ASSASSINO QUINDI È…
Nel sesto episodio vengono a galla colpi di scena (per certi versi un po’ troppo forzati) che aumentano il timore di chi sa che presto tutto andrà in vacca.
Tuttavia, in questo caso la trama e la risoluzione del mistero sembrano volutamente lasciati in secondo piano quando invece la tensione e la disperazione dei personaggi continuano ad essere il focus della storia.
Nella scena più forte dell’episodio (la pratica sessuale estrema che si trasforma in omicidio di un ragazzo), Sam e Patrick si scoprono più deboli di come vogliono farsi vedere dagli altri, preda dei loro istinti ma incapaci di andare oltre i loro desideri. Su tutti, forse si erge il personaggio più interessante in assoluto, Gino, che nella sua disperata richiesta di aiuto nasconde la necessità di essere ascoltato e amato realmente.
Di questi tempi, un così desolato ritratto di un mondo legato ad una minoranza, quella gay, non è scontato e anzi va apprezzato proprio perché cerca di focalizzarsi sull’umanità dei personaggi più che sulla loro rappresentazione come quota sociale. Nessuno sembra uscirne positivamente ma neanche negativamente.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Non è tutto perfetto e molte cose sono un po’ forzate ma la stagione mantiene l’interesse per essere seguita. Non è da poco se si considera la discontinuità dei suoi autori negli ultimi anni.
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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.