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The Handmaid’s Tale 4×04 – MilkTEMPO DI LETTURA 6 min

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The Handmaid's Tale 4x04 recensioneDopo il colpo di scena del finale dello scorso episodio che, pur con tutti i difetti evidenziati nella nostra recensione, aveva creato sgomento con la morte di Alma e Brienna, questa quarta puntata riapre nuovamente la narrazione. Peccato che, dopo l’ennesima fuga, assistiamo all’ennesimo sbarco presso un posto di passaggio, che ci si augura non apra un nuovo, lungo capitolo di preparazione a sole due puntate dalla parentesi nella fattoria dei Keyes.

Janine: “How is this ok? […] You keep saying that, but don’t know. Do you have some… some secret brilliant plan? What is it? What’s the plan? Look, I’m not a mushroom. I’m not! So you can’t keep me in the dark and feed me lies and shit and expect me just be ok with it! […] You don’t know where we’re going. You don’t know if we’re gonna be okay. Gilead has a way of bringing out the worst in people. But in June it brought out the best.”

NON C’È PIÙ UNA MISSIONE


Nell’unica scena sensata della fuga “verso il fronte dentro un frigo”, lo spettatore si trova di fronte ad una verità spietata: non c’è più una missione da compiere. Con le parole di Janine crolla definitivamente l’austerità di June, fortemente provata dall’incontro con Hannah e dal tradimento nei confronti delle sue sorelle. Qual è ormai il vero obiettivo della protagonista? Trovare il Mayday, per salvare chi? Trovare Hannah, per salvarla da chi? Insieme a June, anche gli sceneggiatori sembrano essersi un po’ persi.
Già nella terza stagione si era creato un momento di pausa estenuante con lo smarrimento totale di June, che si era però riscattato con il piano di salvare i bambini di Gilead. Adesso la meccanica si ripete, come ormai è vizio della serie, e gli spettatori si sono guadagnati definitivamente il diritto di potersene lamentare. Solamente alla quarta puntata, questa nuova stagione che era partita con aspettative rivoluzionarie (“Pigs”) si ritrova in men che non si dica soffocata sul nascere, prima dalla cattura (“Nightshade”) e poi dallo sbarco in una Chicago zombie, assediata da una guerriglia di sopravvissuti altrettanto privi di etica e di uno scopo.

IL FLASHBACK SU JANINE


Per farsi perdonare dai suoi sempre più frequenti errori narrativi, la serie continua a seminare qua e là frammenti di vite vissute in un tempo ormai sempre più passato. Arriva quindi il turno di Janine, che è sempre stata una protagonista di secondo ordine nello show ma che ha avuto un ruolo ben preciso: Janine è la martire, una persona dal cuore immenso in grado di sopportare pesi mastodontici, piegandosi ma senza spezzarsi mai. Così l’abbiamo conosciuta in Gilead e così era anche prima, in una società – com’è la nostra – crudele, che si accanisce sui più deboli e che impone la propria ideologia alle persone più semplici.
In questa stagione si è più volte sottolineato come Janine si stia evolvendo come personaggio, prendendo sempre più consapevolezza di sé e dotandosi di una maggiore autodeterminazione.

June: “That’s not how God works.”
Janine: “Well, I think he does.”

Il flashback sul suo passato, in cui si conosce Caleb ed in cui si vede Janine fare dolcemente e liberamente la mamma, ha certamente delle pretese moralistiche importanti. Nessuno può giudicare una donna per non volere avere un figlio e questo non la renderà mai una cattiva madre. Anche la contrapposizione tra la clinica abortiva e il “centro per gravidanze in crisi” regala quel momento di distopia che riporta lo spettatore alle origini dello show. Quando The Handmaid’s Tale si esprime sui diritti civili in genere, ha sempre quella capacità di farlo con un’abilità narrativa rara.

LA RI-SCOPERTA DI RITA


C’è anche un altro personaggio che in questo episodio sul quale viene fatta un po’ di più di luce: Rita, la Martha della famiglia Waterford e compagna di disavventure di June sin dalla prima stagione. Non c’è un vero e proprio flashback ma di parla di una vita passata semplicemente e in solitudine, senza un compagno né dei figli ma con la sorella e la nipote, che risultano ancora dispersi. Rita è una persona buona, semplice e molto religiosa. Quando la si vede ad inizio episodio sembra quasi che sia ancora in Gilead, a fare il pane in casa, e si mostra terrorizzata all’idea che Mrs. Waterford sia furiosa con lei per aver testimoniato.
Rita è un’altra martire, capace di mostrare compassione per i propri oppressori e di farlo a testa alta, senza rinunciare alla propria umanità e alla propria dignità. Nutre rabbia per quello che ha vissuto, ma si commuove sinceramente alla notizia della gravidanza di Serena e prega insieme a lei per il suo bambino. Non ha alcuna stima del Comandante, ma gli riconosce il diritto di sapere che sta per diventare padre e, con un’encomiabile flemma morale, gli risparmia il proprio disprezzo quando lui sembra non capire il perché della sua freddezza.

NESSUNA LUCE IN FONDO AL TUNNEL


Come si è detto, quindi, i momenti di approfondimento sui personaggi costituiscono sempre delle parentesi di qualità all’interno dello show. Anche quando si sono inseriti nell’intreccio degli attori di passaggio – ne è un recente esempio Mrs. Keyes – in pochi episodi hanno lasciato il segno, perché sempre interessanti e perfettamente allineati con quel determinato momento narrativo.
Ciò in cui la serie sembra aver perso completamente il senso della misura è lo sviluppo della trama orizzontale. Dopo aver già riscontrato innumerevoli volte l’eccessiva ripetitività degli schemi narrativi, adesso si aggiunge anche l’eccessiva lontananza di un punto di arrivo. Pur con i soliti loop, la storia andava avanti e i personaggi arrivavano uno alla volta ad una propria meta o epilogo. La scelta June di rimanere sempre indietro, però, ha portato lo spettatore all’esasperazione e adesso, che lei ha perso ogni speranza di salvezza in Gilead e che finalmente sembra essersi decisa a fuggire, la serie ne soffoca gli intenti facendola rimanere da sola e consegnandola (speriamo non per molto) all’ennesima realtà di passaggio. Considerata la velocità con cui sta andando avanti la timelime, parallelamente sia in Gilead sia in Canada, si ha sempre più la sensazione che lo show stia sprecando tantissimo tempo.
Se non si vedrà presto una luce in fondo al tunnel, non potendo ormai la serie essere cancellata per il successo di pubblico e la risonanza mediatica (non dimentichiamoci, addirittura, il cameo di Ophra Winfrey), l’unico futuro possibile è quello di perdere definitivamente il proprio pubblico e dovere chiudere di fretta, con un’ultima stagione raffazzonata e dal finale deludente. Sarebbe un vero peccato.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • L’approfondimento su Janine ben preparato nelle puntate precedenti e assolutamente ben riuscito
  • La figura di Rita che porta la moralità in primo piano, nonostante tutto 
  • Se c’è un senso figurativo nel latte, che dà attirittura il titolo all’episodio “Milk”, è macchinoso e forse anche di cattivo gusto
  • L’azione, ormai gambizzata dalla improbabilità della scena del treno, viene ormai vissuta con enorme scetticismo e non crea più hype
  • ll tentato abuso da parte di Steven lascia solo perplessità e imbarazzo
  • La storiline di June si arena nuovamente in una Chicago-miraggio, si spera solo che duri poco

 

Una puntata che doveva riaprire i giochi, in cui ci si aspettava che June rilanciasse (anche se troppo presto) la lotta contro Gilead, disillude invece totalmente lo spettatore. Un parziale recupero si ha, come sempre, con le parentesi di approfondimento sui personaggi di Janine e Rita. La serie però non può continuare a vivere solo di flashback e finali di stagione, se non cambia nelle intenzioni si avvicina pericolosamente all’oblio.

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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.

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