recensione The Crow
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The Crow – Il Corvo

Un remake che forse non andava fatto, ma non si può negare a Rupert Sanders di non averci almeno provato ad andare oltre la mitologia del film con Brandon Lee. Purtroppo fallendo miseramente. 

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Le anime gemelle Eric e Shelly vengono brutalmente assassinate. Avendo la possibilità di salvare il suo vero amore sacrificando se stesso, Eric decide di cercare vendetta, attraversando il mondo dei vivi e quello dei morti per rimettere a posto le cose sbagliate.

Prima di cominciare questa recensione è necessario togliersi subito un dente tanto ingombrante quanto difficile: nemmeno il tanto decantato Il Corvo – The Crow del 1994 era poi tutto questo gran capolavoro!
Prima però che questa recensione venga abbandonata subito nel disprezzo generale si lasci al povero recensore l’opportunità di spiegarsi peggio meglio.
Viene da chiedersi infatti che sorte avrebbe avuto quello che è a tutti gli effetti un classico action/horror/thriller soprannaturale tipico di inizio anni ’90 (quando questo genere di pellicole era super-in-voga) se non ci fossero stati due fattori estremamente importanti:

  • una colonna sonora da paura con brani dei The Cure e dei Nine Inch Nails (che rendono però il film un po’ troppo “videoclip in stile MTV” in certi punti) che però può essere tranquillamente slegata dalla pellicola;
  • la morte accidentale dell’attore Brandon Lee e la sua incredibile “resurrezione” cinematografica, che di fatto rappresenta l’autentica mossa di marketing che ha reso tale pellicola un “cult”;

Perché, in realtà, togliendo questi due elementi perfino il film di Alex Proyas non è esente da difetti e buchi di sceneggiatura. E quindi per valutare in maniera veramente oggettiva questo remake a cura di Rupert Sanders senza cadere nella retorica boomeristica del “era meglio prima” (per cui il film è stato già stroncato sul nascere) conviene piuttosto partire dalle origini, ossia dal fumetto di James O’Barr.

UN REMAKE NECESSARIO?


La storia de Il Corvo trae spunto da due esperienze traumatiche per il suo autore: la perdita della sua fidanzata a causa di un incidente causato da un ubriaco alla guida e la notizia di due fidanzati uccisi a Detroit per soli 20 dollari. Si tratta di un’opera che esprime profonda malinconia e una visione decadente e pessimistica del mondo ma che rappresentava anche un omaggio ad una certa cultura underground del periodo, in particolare per quanto riguarda la scena alternative rock e goth-metal per cui sia il fumetto che il film divennero fin da subito dei “manifesti”.
Se dunque il film di Alex Proyas cercava di parlare a questo tipo di pubblico, dimostrandosi perfettamente inserito nella cultura dell’epoca, viene quindi da chiedersi: a chi si rivolge oggi il remake?
La risposta potrebbe essere “alla famigerata GEN Z”, magari con lo scopo di fargli riscoprire tale capolavoro (che è poi lo scopo di tutti i remake) rivolgendosi però a tutte quelle culture underground che (soprav)vivono ancora oggi.
Se così fosse l’obiettivo di Sanders e soci sarebbe più che nobile, ma la verità è purtroppo un’altra: il film cerca disperatamente di creare l’ennesimo blockbuster-franchise tratto da un fumetto di successo, seppur dimostrandosi rispettoso dell’opera originaria (la scena iniziale con il piccolo Eric che cerca di salvare il suo cavallo ferito è presa paro paro dal fumetto).

BILL SKARSGÅRD E FKA TWIGS: I NUOVI ERIC E SHELLY


Il rispetto verso l’opera originaria si ferma purtroppo alla sola estetica superficiale (mentre magari il film di Proyas prendeva una strada un po’ sua ma era più fedele come “sostanza” all’opera di O’Barr) e lo si capisce dalla scelta dei due attori protagonisti.
Bill Skarsgård ormai è infatti una garanzia nei ruoli soprannaturali-clowneschi per cui si può dire che non ci fosse scelta migliore per interpretare Eric Driven. Il suo personaggio appare però fin troppo succube del “modello The Batman” per cui tutta l’epicità del personaggio viene meno in virtù della sua rappresentazione “umana”. Che però qui appare fin troppo “umana”, di fatto creando una fin troppo lunga origin story che si prende tutto il film, magari evitando quei buchi di sceneggiatura che erano tipici del film di Proyas, ma che alla lunga fanno diventare la pellicola un immenso “spiegone” (dove comunque rimangono delle lacune) al solo scopo di rallentare un attimo il personaggio per farlo “esplodere” solo nella parte finale.
E comunque rimane un character perlopiù senza una personalità precisa, anonimo dall’inizio alla fine, e della sua rappresentazione underground rimane ben poco. Anche perché di “underground” qui c’è ben poco: i due co-protagonisti Eric e Shelly (la cantante e ballerina FKA twigs) sono due ragazzi in fin dei conti perfettamente normali, magari un po’ più tatuati e vestiti male del solito, ma che non rappresentano alcuna cultura particolare, passano facilmente dalla musica rock alla trap e indifferentemente dalla discoteca agli hotel di lusso fino ai rave illegali senza una cultura precisa a cui fare riferimento.
Dei “normali” giovani d’oggi insomma.

UNA TRAMA SENZA SENSO


Anche la trama stessa non brilla certo per originalità e sensatezza. Tolto il trauma che dà il via a tutto (la brutale morte di Eric e Shelly per mano di alcuni malfattori), la forza del film di Proyas e del fumetto di O’Barr era la banalità del male che derivava dall’uccisione dei due per motivi di fatto futili.
Una morte talmente insensata che perfino “la divinità della morte” (il famoso corvo) ne chiedeva conto permettendo ad Eric di sopravvivere e avere il potere dell’immortalità per potersi vendicare.
Qui il film fa una scelta interessante decidendo di approfondire questo aspetto dando un background preciso al “dono dell’immortalità” di Eric e regalando un villain comunque meno cartoonesco dei suoi predecessori (interpretato comunque da un ottimo Danny Huston). Si tratta infatti di un moderno Faust-vampiro demoniaco che condivide con Eric il dono dell’immortalità e quindi un avversario interessante perché “alla pari” con il protagonista, di cui funge da contraltare, che sarebbe stato bello poter approfondire meglio.
Peccato che la pellicola non lo faccia per nulla, preferendo perdere questa buona intuizione per creargli attorno degli “scagnozzi” che sono invece quanto di più piatto e banale ci sia in giro, destinati di fatto a “sacrificarsi per il capo” senza una reale motivazione (se capisci che il tuo nemico è immortale a cosa serve continuare a sparargli fino alla fine tutti i colpi della pistola?). Inoltre, lo stesso villain, così legato al protagonista dallo stesso istinto di sopravvivenza, non viene approfondito e non compie nessun “viaggio di formazione”.

PROBLEMI EVERYWHERE


Questo remake di Rupert Sanders, la cui sceneggiatura è però di Zach Baylin (penna che è valsa sia la nomination agli OScar allo stesso Baylin per Miglior Sceneggiatura Originale sia l’Oscar a Will Smith per King Richard, ma anche di penna del pessimo Creed III) e l’esordiente William Joseph Schneider, vorrebbe essere più profondo e introspettivo del film di Proyas, cercando al contempo una propria strada originale nella rappresentazione dell’opera di O’Barr in un contesto contemporaneo.
Il risultato finale è discutibile e cade poi negli stessi errori del precedente film del 1994, stavolta con l’aggravante che cerca pure di ergersi intellettualmente con scelte estetiche ben più ragionate e ricercate (la strage durante il balletto all’Opera finale, per cui c’è spazio anche per la lirica nelle scelte musicale “a mo’ di Spotify” della soundtrack del film) che però a lato pratico servono solo a distrarre dal vuoto che c’è dietro la sceneggiatura. E a pensarci questo fa propendere per una botta di culo di Baylin per King Richard piuttosto che ad una bravura di fondo.
Si tratta, a suo modo, di un film “furbo” che cerca di mischiare più cose insieme consapevole che, nel bene e nel male, verrà visto, anche solo per elencarne i difetti. Da un lato studiato bene e con alcune intuizioni interessanti, ma di fatto vuoto e che non serviva per nulla. Al contrario, del film di Proyas non si può, a questo punto, non lodarne proprio l’ingenuità e l’autenticità con cui era realizzato, al netto dei suoi difetti.

 

TITOLO ORIGINALE: The Crow
REGIA: Rupert Sanders
SCENEGGIATURA: Zach Baylin, William Joseph Schneider

INTERPRETI: Bill Skarsgård, FKA twigs, Danny Huston, Josette Simon, Laura Birn, Sami Bouajila, Isabella Wei, Jordan Bolger
DISTRIBUZIONE: Eagle Pictures
DURATA: 111′
ORIGINE: UK, USA, Francia
DATA DI USCITA: 28/08/2024

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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!

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