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L’idea di sviluppare un prodotto seriale a partire dall’opera letteraria di Phillip Dick, The Man In The High Castle (noto in Italia come La Svastica Sul Sole) è stata senza dubbio geniale da parte di Amazon, visto l’enorme potenziale della storia.
Non è questa la sede idonea per fare un paragone tra le due differenti opere, quella cartacea e quella televisiva, ma per farsi un’idea delle enormi differenze tra le due trame basti pensare che nell’ucronia dickiana non vi è nessuna traccia della famiglia Smith e quindi di John, protagonista assoluto della serie.
Il libro era destinato ad avere un seguito, mai scritto, anche se in alcune edizioni si possono leggere due capitoli del libro successivo che mostrano come alcuni scienziati tedeschi siano riusciti ad entrare in un mondo parallelo completamente differente, proprio quello descritto dal libro di Abendsen, il quale grazie all’oracolo si trova contemporaneamente in più mondi paralleli, divenendo una sorta di super uomo che tutto vede e comprende.
Naturalmente, visto che l’opera rimane incompiuta, non si può comprendere dove lo scrittore volesse arrivare e gli autori hanno deciso, come è lecito, di intraprendere un proprio percorso narrativo; si è scelto quindi di forzare la mano sull’aspetto fantascientifico dei viaggi temporali, distaccandosi dall’opera madre, ridimensionando in questo modo la parte politica della serie, la quale in realtà si è dimostrata la migliore del prodotto seriale di casa Amazon.
Non è un caso allora se nella parte finale di questo decimo appuntamento si assiste all’apertura del portale tra i mondi, per un finale aperto che lascia in sospeso diverse questioni e personaggi, puntando più sui collegamenti tra i diversi mondi, a scapito dell’assetto geo-politico del mondo dopo le dipartite di Himmler e Smith.
Sin dal pilot dello show è parso evidente come l’aspetto tecnico, peculiarità confermata nel corso delle diverse stagioni, fosse di gran lunga il fiore all’occhiello della serie, con una cura maniacale di ogni dettaglio, la scelta delle location sempre ottime e una resa visiva perfetta, grazie a una ricostruzione scenica e dei costumi assolutamente encomiabile, da applausi.
Tuttavia già altre due serie di casa Amazon, Too Old To Die Young e American Gods, avevano mostrato agli spettatori che un eccelso comparto tecnico da solo non basta, se non viene seguito da una storia convincente e un ritmo narrativo incalzante.
In queste 4 stagioni, The Man In The High Castle si è caratterizzato per un narrazione lenta e compassata, con uno spreco notevole di screen time per storie secondarie e personaggi inutili; stupisce allora l’improvvisa accelerata, una corsa frenetica a dire il vero, che ha subito la trama orizzontale in questo ultimo ciclo stagionale, lasciando dietro di sè una scia di errori e incongruenze difficilmente digeribili: anche tralasciando i numerosi characters di cui si sono perse le tracce (che fine hanno fatto Ed, la famiglia di Juliana e la comunità ebraica?) destano perplessità la rapida introduzione della Black Communist Rebellion e le storie di Childan, personaggio sempre al margine in questa stagione che non ha mai convito a pieno e soprattutto dell’Ispettore Capo Kido, che in mezza giornata passa dall’essere il più patriottico e fedele servo dell’Impero nipponico a membro della Yakuza.
La presenza del figlio Toru, che già nel secondo episodio sembrava potesse arricchire ulteriormente il personaggio, si è rivelata in realtà disastrosa, per un character completamente inutile, che ha avuto a disposizione poco tempo, durante il quale è riuscito comunque a rovinare la vita paterna.
Inoltre il fulmineo successo ottenuto dalla ribellione black, che in pochi episodi costringe alla resa un Impero fortemente in crisi ma sempre molto potente, è sembrato veramente esagerato: senza dubbio la nuova fazione in campo ha portato una ventata di freschezza per quanto riguarda la narrazione degli Stati del Pacifico, tuttavia se si fosse introdotto il gruppo ribelle almeno nella precedente stagione, sicuramente la credibilità della storia, nonchè la profondità, ne avrebbe enormemente giovato.
Situazione non migliore, ovviamente, per Juliana, senza dubbio il personaggio più atteso della stagione, ma purtroppo la sua storyline si è rivelata fortemente deludente: dagli inspiegabili superpoteri in stile Marvel al continuo tergiversare, se si esclude l’aggancio avvenuto con successo di Helen, rimane ben poco da salvare, visto che gli autori hanno pensato bene di eliminare l’attesissimo confronto con l’acerrimo nemico, almeno in un mondo, John Smith, il quale si suicida senza che avvenga un dialogo degno di questo nome tra i due.
Dopo l’incredibile e sciagurata uccisione di Tagomi, avvenuta off screen prima di “Hexagram 64“, si pensava che peggio non si potesse fare e invece gli sceneggiatori hanno pensato bene di dimostrare il contrario.
Se si esclude il mancato confronto con la Crain, il suicidio dell’Obergruppenführer ha un senso logico, l’unica via d’uscita da una situazione ormai insostenibile, visto che dal viaggio compiuto in “Mauvaise Foi“, l’ex militare americano non si era mai ripreso del tutto: un character in continua evoluzione, con mille diverse sfaccettature e che nonostante rappresenti il villan in piena regola ha lasciato il segno tra gli spettatori, i quali spesso si sono trovati ad empatizzare con esso. Tutto ciò è stato reso possibile da un’interpretazione eccelsa di Rufus Sewell, vera rivelazione della serie e protagonista di una prova attoriale veramente degna di nota.
Non è da meno la moglie del gerarca nazista, Helen, un altro personaggio che in questa ultima stagione ha affrontato enormi cambiamenti, evolvendosi e rinnovando sè stessa; nonostante la morte abbastanza frettolosa, che si poteva e si doveva gestire meglio, il suo sacrificio per le figlie, a danno del marito, chiude idealmente un percorso iniziato in “Jahr Null” e che non poteva concludersi diversamente, con un “it was me” di tyrelliana memoria.
Dopo un nono episodio perfetto, l’amarezza per questo finale a metà è tanta, visto che a partire da metà stagione, con la quinta puntata la serie sembrava ormai essere sulla strada giusta.
Tanti i buchi nella sceneggiatura, i personaggi abbandonati, le risposte non date e le frettolose chiusure di diverse storyline, motivo per cui si ha la sensazione che dopo 4 stagioni e 40 puntate questo final series abbia deluso fortemente le aspettative.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Un pessimo episodio per The Man In The High Castle che chiude una serie caratterizzata da alti e bassi in una stagione che, prima di questa decima puntata, non aveva certo sfigurato e anzi aveva mostrato spunti interessanti e un paio di episodi assolutamente memorabili. Tante le debolezze dello show di casa Amazon, altrettanti i pregi per un prodotto seriale che poteva e doveva fare molto di più, visto l’eccelso materiale cartaceo a disposizione. Nonostante un finale altamente sotto le aspettative si opta per una sufficienza striminzita, valutando la serie nell’arco delle sue 4 stagioni. La sensazione è che si sia sprecata una grande occasione.
For Want Of A Nail 4×09 | ND milioni – ND rating |
Fire From The Gods 4×10 | ND milioni – ND rating |
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Venera due antiche divinità: Sergio Leone e Gian Maria Volontè.
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