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The Man In The High Castle (la serie Amazon, s’intende, non il romanzo di Dick) ha un primato non da poco: aver trasformato una storia a base di nazisti, universi paralleli, ucronie distopiche e giapponesi imperialisti in una narrazione lenta e goffa, incredibilmente soporifera. Soprattutto la terza stagione ha messo a dura prova la resistenza di molti spettatori, arrancando tra lungaggini non necessarie, tempi pachidermici e sottotrame che non si capisce ancora, a distanza di un anno, a cosa siano servite. Forse la sola visione di “Hexagram 64” è insufficiente per confermare se anche la quarta e ultima stagione sarà un buco nell’acqua e la degna pietra tombale di un’opera che poteva dare molto di più, però i segnali non sono rassicuranti.
Da dove cominciare?
Sicuramente il timeskip (in questo caso di un anno) è un espediente tanto abusato in narrativa quanto, almeno sulla carta, efficace: permette di stupire lo spettatore mettendolo di fronte a situazioni ben diverse da quelle lasciate nel season finale “Jahr Null” e crea inevitabile curiosità per scoprire come si è giunti a quel punto. In “Hexagram 64” il gioco funzionerebbe a meraviglia, se non fosse per ciò che viene mostrato e come viene mostrato.
Vedere Juliana che nel nuovo universo si è rifatta una vita, ha un nuovo compagno, gestisce una palestra di arti marziali ed è amica con la signora Smith e un Thomas vivo e vegeto può anche avere senso per sottolineare il distacco tra questo nuovo mondo e il vecchio cupo e dominato dai nazisti, ma uccide tutto l’hype generato dal finale della scorsa stagione, nonché dall’incontro con la versione alternativa e non-nazista di John Smith con cui pure si era aperta la storyline della Crain quest’anno.
Vedere Wyatt che si è trasformato in un carismatico combattente della Resistenza, con tanto di barba incolta per indicare il trascorrere del tempo e la vita non proprio agiata che ha dovuto condurre fino a quel momento, serve a poco se il personaggio non è riuscito nella scorsa stagione a lasciare il segno e a dimostrarsi qualcosa di più di una superflua aggiunta a un cast già abbastanza affollato.
Vedere il Reichsmarshall John Smith alle prese con problemi familiari invece che con questioni militari o politiche decisamente più interessanti (una su tutte: ma Himmler è ancora in coma?) rende bene l’idea di quanto gli sceneggiatori prediligano gli aspetti drammatici e soap a discapito di quelle che dovrebbero essere le vere componenti da valorizzare in una narrazione ucronica. Non che ci sia qualcosa di male nel mostrare l’impassibile ufficiale del Reich americano constatare la propria incapacità di trovare nell’ambito familiare lo stesso successo conseguito nella carriera, ma in una season premiere ci si aspetta qualcosa di più per quanto riguarda lo schieramento nazista e le informazioni sui progressi fatti nel viaggio tra gli universi. Confidiamo a questo punto nel prossimo episodio, qualcosa dovranno pur mostrarla.
Vedere una nuova storyline incentrata sulla questione razziale, per quanto sia onorevole per gli autori dello show affrontare una tematica così importante e impegnativa, fa correre un brivido lungo la schiena proprio perché già in passato The Man in the High Castle ha dimostrato di non saper affrontare in maniera sufficientemente soddisfacente argomenti che meriterebbero una serie a parte, e non singoli spezzoni di puntata (qualcuno ha parlato delle coppie omosessuali dello scorso anno?). Se è vero che una serie ambientata negli anni ’60 alternativi non può ignorare la componente afroamericana, è altrettanto vero che inserirla in un ruolo così importante solo nell’ultima stagione, con i tanti e tanti altri personaggi da gestire, rischia di diventare solo un semplice tributo pagato sull’altare del politicamente corretto e dell’inclusività. Forse sarebbe stato meglio pianificare certi aspetti della serie fin dalla prima annata, invece di improvvisare anno dopo anno. Ma anche qui il cambio di gestione da Frank Spotnitz a Eric Overmyer si fa sentire negativamente.
Dulcis in fundo non possiamo non nominare il peggior plot twist della serie: vedere il ministro Tagomi fatto fuori da misteriosi sicari in motorino fa quasi cedere lo spettatore alla tentazione di gettare all’aria il pc su cui sta visionando l’episodio e di maledire gli autori di questo scempio. Sia chiaro, non si mette in dubbio che l’uscita di scena di un personaggio così importante abbia delle conseguenze narrative fondamentali, e potrebbe anche darsi che siano sorti problemi con l’attore Cary-Hiroyuki Tagawa, ma davvero uno dei pilastri della serie non meritava una fine migliore di quella raccontata in un brutto flashback a inizio episodio? E davvero c’è chi pensa che riciclare la principessa imperiale della prima stagione sia un buon modo per sostituire Tagomi come personaggio giapponese a favore della pace?
In tutto questo, c’è solo una nota positiva: l’ispettore Takeshi Kido e l’inaspettata comparsa del figlio Toru, che già inizia a offrire occasioni per scavare ancora più a fondo nell’animo dell’ufficiale del Kempeitai cogliendone il lato umano. Se quattro anni fa qualcuno avesse detto che quel giapponese dal cuore così glaciale da mettere a morte una donna e i suoi figli si sarebbe rivelato il miglior personaggio della serie, nessuno gli avrebbe creduto. E adesso invece siamo qui a sperare che almeno Kido e, in parte, Smith mantengano dignitoso il livello di una stagione che non parte col piede giusto.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Quando una serie televisiva torna dopo un anno e il tuo primo desiderio è “Chissà se posso trovare un modo per accedere a un universo parallelo dove hanno buttato all’aria quanto c’era di buono” allora vuol dire che qualcosa non va. La strada per il gran finale non è poi così lunga e c’è solo da sperare che nei prossimi nove episodi le cose migliorino.
Jahr Null 3×10 | ND milioni – ND rating |
Hexagram 64 4×01 | ND milioni – ND rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.