1972. In piena indagine di quello che i libri di storia chiameranno Scandalo Watergate, Archie Goodwin e George Tuska (aiutati dal character design di John Romita Sr.) creano Luke Cage: un supereroe afroamericano che combatte il crimine a pagamento. Gli anni ’70 per il comicdom, e in particolare per la Marvel Comics, sono stati anni di pura anarchia, dove la sperimentazione viaggiava libera e dove le trame cominciavano ad evolversi dalla originale volontà di Stan Lee. Non più storyline con semplici avventure ma storie che trasmettevano una lettura politica e sociale da parte degli autori, ormai attivisti che desideravano dire la loro col mezzo di loro competenza per generare una reazione tra il pubblico (basti pensare alla rivelazione del secondo Numero Uno dell’Impero Segreto). Marvel’s Luke Cage parte da qui, prendendo il personaggio per come era nei 70’s, valorizzando oltre ogni cosa la sprezzante caratteristica con cui si ergeva sopra gli altri personaggi per quegli anni, cercando di riproporla nel contesto di oggi.
Togliendoci subito il sassolino dalla scarpa, in una ipotetica classifica dei pilot migliori delle tre attuali serie Netflix/Marvel Studios, va detto che “Moment Of Truth” si merita purtroppo il bronzo. Questo perché il compito principale del pilota della serie era quello di mostrare un sottobosco narrativo diverso, ma uguale, a quello di Hell’s Kitchen visto grazie a Daredevil e Jessica Jones: in questo caso la Harlem di Luke Cage, anch’essa dominata da criminalità e corruzione. Infatti, la puntata si concentra troppo poco sul protagonista e, rispetto agli altri personaggi, “Power Man” sembra più un comprimario che un personaggio principale. Sfortunatamente “Moment Of Truth” deve portarsi dietro questo piccolo grande difetto in quanto è la diretta conseguenza di una precisa scelta di sceneggiatura: dare più importanza al contesto in cui si muove il protagonista piuttosto che al protagonista stesso, poiché ancora inedito al pubblico. Va inoltre detto che questa non è la prima volta che si vede il difensore di Harlem, Luke venne infatti introdotto e presentato nelle sue caratteristiche basi in Marvel’s Jessica Jones, compreso il colpo di scena che rivelava l’entità dei suoi poteri. Visto questo precedente, Cheo Hodari Coker ha probabilmente pensato di prendere come buona quella presentazione e passare oltre, concentrandosi sul mondo che circonda Cage, quindi contesto ambientale e soprattutto il nemico stagionale. È sicuramente voluta la tacita spinta a recuperare la prima stagione di Jessica Jones. It’s all connetced, dopo tutto. Il blando minutaggio del protagonista e il suo inserimento in momenti studiati per aumentarne il carisma (la scena finale dell’episodio, per esempio) sono scelte (discutibili) dovute e volute per sottolineare la sua attuale caratterizzazione, molto più schiva e riservata della originale controparte cartacea. Nonostante Luke Cage si veda e si senta poco, “Moment Of Truth” è comunque apprezzabile per il riuscito obiettivo di introduzione ad Harlem, comprimari e villain.
Lo stile, adottato da Netflix e Coker per Marvel’s Luke Cage, è diverso ma uguale rispetto a quelli di Marvel’s Daredevil e Marvel’s Jessica Jones. Quest’ultimo, già dalla prima puntata si capisce come il serial abbiamo usato lo stesso metodo del Diavolo Custode: quello che ha fatto, non è stato scrivere una storia di supereroi, ma prima una storia noir per infilarci solo poi un supereroe. Marvel’s Luke Cage fa lo stesso, volgendo un occhio di estremo riguardo alla cultura afro e scrivendo un serial tipicamente di genere blaxploitation, inserendoci solo successivamente un supereroe (non a caso è negli ultimi minuti che Luke si palesa per la sua vera forza). Grazie alle musiche e al ritratto fornito di Harlem, si percepisce l’omaggio ad un genere che “usava gli attori afroamericani perché si potevano pagare poco”, però non risulta offensivo e poco valorizzante verso tale etnia ma, anzi, la lusinga con i richiami del genere attraverso le musiche, le caratterizzazioni, i dialoghi e la descrizione di Harlem, qui presentato alla stessa maniera di Hell’s Kitchen.
Forse il biglietto da visita di Harlem, rispetto a quello di Hell’s Kitchen, risulta addirittura più tagliente perché lo showrunner, Cheo Hodari Coker, affronta di petto e senza mezzi termini i problemi politici e morali che sono in realtà il simbolo della comunità afro-americana di Harlem, il tutto non perdendo occasione di lasciare piccoli omaggi a chi ha scritto storia, letteratura, musica e “pop” di questa cultura. Non che Marvel’s Daredevil non facesse lo stesso con la stessa spigliatezza, ma si nota da parte di Marvel’s Luke Cage la voglia di andarci meno leggero e mostrare apertamente la situazione del quartiere con la stessa sincerità e dura schiettezza che hanno usato Straight Outta Compton e The Get Down. Insomma, si parla di Harlem con le parole che userebbe il quartiere per presentarsi.
Precisazioni sulla caratterizzazione del prodotto a parte, va fatta una standing ovation anche per Mahershala Ali che, nel ruolo di Cottonmouth, non fa rimpiangere Vincent D’Onofrio o David Tennant. La sua recitazione è talmente studiata che Ali si pone sullo stesso piano di bravura e incisività dei precedenti villain Marvel Studios/Netflix, ovviamente facendo le dovute proporzioni del caso perché un Wilson Fisk ha un peso specifico decisamente superiore ad un Cottonmouth. Va anche detto che il suo lavoro, in questo caso, è anche molto più facile rispetto al compito che spettava a D’Onofrio. L’ex-soldato Palla di Ladro si è trovato nel difficile compito di azzeccare la caratterizzazione di un villain molto importante, mente Ali si è trovato tra le mani un personaggetto completamente da rimodellare a piacimento. La bravura di un attore si vede anche da qui: dalla voglia c’è di sfaccettare un personaggio che manca di spessore, e Mahershala Ali non si è di certo limitato a fare il compitino.
Poteva RecenSerie non sbattersi per voi a raccattare tutte le curiosità, e le ammiccate d’occhio per questa incarnazione live-action del primo eroe in vendita Marvel? Maccerto che no! Doveva eccome! Per la gioia dei nostri carissimi lettori, di seguito, come fatto per Marvel’s Agents Of S.H.I.E.L.D., Marvel’s Agent Carter e Marvel’s Daredevil eccovi la “guida” a tutti i vari easter eggs e trivia sulla puntata.
- Luke Cage comparve per la prima volta sulla sua testata omonima, Luke Cage, Hero For Hire #1 del 1972 e venne presentato come un teppistello di Harlem incline alla criminalità più sfrenata. Arrestato per l’ennesima volta quando era conosciuto come Carl Lucas, gli venne proposto un patto: prigione o sottoporsi ad un esperimento simile a quello che trasformò Steve Rogers in Capitan America. Scelse ovviamente il secondo e gli andò pure bene dato che ottenne una forza fisica smisurata e una pelle impenetrabile con le quali decise di mettersi al servizio del miglior offerente: Cage decise che non valeva la pena farsi menare da supercriminali per pura bontà d’animo e decise di lucrarci sopra, creando un vero e proprio business attorno alla sua figura di “eroe a pagamento”.
- Il classico costume di Cage prevede una camicia gialla. Anche se negli anni finirà per non indossare più quel completo, il giallo rimarrà in qualche modo il suo colore e nei costumi che indosserà con gli anni, un qualcosa di giallo sarà sempre previsto nel suo guardaroba. La connessione con tale colore è citata nell’episodio quando, indossando la felpa con il cappuccio, l’interno mostrato è di colore giallo.
- Nella scena finale, quando la moglie del proprietario del ristorante dona dei soldi a Luke per pagarlo per il suo aiuto, il personaggio risponde che “I’m not for hire“. È una citazione al suo originale impiego di eroe a pagamento, ma non solo. Quando la moda della blaxpotation e dei film sulle arti marziali scemeranno, Luke Cage e Iron Fist verranno raggruppati nella stessa serie dando vita agli Hereos For Hire, società di eroi a pagamento.
- Pops chiama Luke col nomignolo di “Power Man” per sfotterlo. Il nome è un titolo con cui Luke si faceva chiamare nei fumetti dovuto alla necessità di trovare al personaggio un nickname da eroe. Tale cambio avviene anche nella sua testata principale, che cambia da “Luke Cage, Hero for Hire” a “Luke Cage, Power Man” dal numero #17 del 1974.
- Gli incubi che ha Luke sono legati al suo periodo passato in carcere e legati, quindi, alle sue origini.
- Il titolo dell’episodio è un riferimento alla omonima canzone del duo hip-hop Gang Starr.
- Il personaggio di Luke Cage è sempre stato noto al pubblico per essere un grande imprecatore. Non potendo citare esplicitamente delle parolacce in un fumetto, la Marvel s’invento delle espressioni bizzarre che sostituivano palesemente le parolacce; così, quando il pubblico leggeva espressioni come “jive-javellin’, freakin’, motherless” il lettore sapeva che Luke stava imprecando peggio d’uno scaricatore di porto veneto. Da qui nacque anche una delle sue frasi ricorrenti più iconiche, il grido di battaglia “Sweet Christmas”. Da qui arriva infatti il suo “I don’t curse” (letteralmente, “non impreco”), cosa che lo trasforma più in una specie di Superman di colore.
- Comparsa per la prima volta su Luke Cage, Hero for Hire #5 del 1973, Mariah Dillard (conosciuta come Black Mariah) non era una politica come nel telefilm, ma una gangster enormemente sovrappeso che capitanava la banda dei Rat Pack: un insieme di ladruncoli che rapinava, servendosi di un’ambulanza rubata, i cadaveri che trovava per strada. Venne spedita in galera su Luke Cage, Hero for Hire #10 del 1973, e venne rilasciata per tormentare Luke Cage e Iron Fist su Power Man and Iron Fist #1 del 2016.
- La donna poliziotto con cui Luke fa sesso è Misty Knight, ci sarà tempo e modo per descriverla.
- Comparso per la prima volta su Luke Cage, Power Man #18 del 1974, Cornell Cottonmouth è un potente e temuto signore della droga dal passato misterioso e dotato, per ragioni ignote, di una forza sovrumana. È legato al passato di Cage poiché era suo rivale in amore. Così, dopo essere entrato in contatto con l’organizzazione dell’uomo, Willis Stryker gli sottrae una partita di eroina e se ne serve per incastrare e far rinchiudere nel penitenziario di Seagate il suo rivale in amore Carl Lucas che, una volta evaso e cambiato nome in Luke Cage, per dimostrare la sua innocenza, si fa rivelare la provenienza della droga da un informatore e si infiltra tra gli uomini di Cottonmouth guadagnandone la fiducia per scoprire dove custodisce i suoi registri. Scoperto e trovandosi costretto ad affrontare Cottonmouth, riuscì a farlo arrestare scoprendo che tutti i dati inerenti il suo traffico di droga erano memorizzati dal suo contabile, deceduto nello scontro. Da qui inizierà una aspra rivalità tra i due.
- Comparso per la prima volta su Luke Cage, Hero for Hire #1 del 1972, Shades (vero nome sconosciuto) è membro della banda dei Rivals, una delle tante bande criminali di Harlem e legato al passato di Luke Cage quando era un criminale. Non ha particolari poteri e Shades sta a Luke come Turk sta a Daredevil: è semplicemente un criminale da strapazzo con il vizio di mettere sempre gli occhiali da sole anche di notte e con un astio senza confini per Cage.
- Viene citato un certo “Diamondback”. Per i fan di Capitan America, non è da confondere con Rachel Leighton ma con l’omonimo Willis Stryker, anch’egli soprannominato Diamondback. Appena comparirà ve ne parleremo meglio.
- Il ritratto di Notorious B.I.G. che Cornell Stokes ha nel suo ufficio è campionato da una copertina di Rolling Stones rilasciata nel Dicembre del 1993.
- Il venditore di strada a cui Luke passa davanti si riferisce ai quattro Vendicatori Iron Man, Thor, Hulk e Capitan America.
- Ad un certo punto viene citato Justin Hammer, villain presente in Iron Man 2 e nel corto Oh Hail The King. E visto che l’abbiamo citato, il corto è anche il primo prodotto Marvel Studios che mostra la prigione di Seagate per la prima volta.
- Nel serial abbiamo la prima menzione ad uno dei TG fittizi del Marvel Universe: il JBP-TV di Megan McLaren, personaggio e network comparso per la prima volta su Thunderbolts #1 del 1997.
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Magari il termine “una serie per neri, scritta da neri” può sembrare razzista ma non era il nostro intento. Il nostro intento era quello di descrivere una precisa cultura che è finita per diventare una piccola, grande nazione senza fissa dimora attraversata da problemi ben precisi, quindi Marvel’s Luke Cage cerca di descrivere questi problemi con il suo linguaggio utilizzando tutte gli strumenti tipici della cultura dei neri. Basti pensare anche alla sola colonna sonora: quella con artisti è quasi interamente composta da più o meno famosi cantanti rap/hip-hop; quella del serial in sé, come la sigla stessa, richiama una vena e una matrice jazz, soul, funk e blues.
Prepariamoci a vedere qualcosa che sarà un autentico pugno nello stomaco.
Moment Of Truth 1×01
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