Luther Swann: “Mrs. Swann… ahem, as a doctor, I must advice you that any sexual contact, um… carries with it inherent risks.”
Mrs. Swann: “Mm. Mmh. Can we shut up now?”
(l’unica battuta sensata in tutto l’episodio!)
In un centro di ricerche situato nell’Artico (e dove se no?) esplode improvvisamente una misteriosa epidemia che uccide (apparentemente) chiunque ne vanga a contatto. Vengono inviati ad indagare due scienziati-detective che, guarda caso, ne rimangono contagiati. Dopo alcuni giorni passati in quarantena però i due sembrano risultare perfettamente sani e, per questo motivo, vengono rispediti alle rispettive case. Ma, dopo neanche qualche ora, uno dei due (per brevità denominato “quello di colore”) sembra manifestare alcuni sintomi come visioni, inappetenza alimentare e una smodata forza fisica.
Oltre (sempre naturalmente) ad una predisposizione per il cannibalismo e il vampirismo.
Questo fatto dà il via ad un vero e proprio contagio destinato a dividere irrimediabilmente la società in “sani” e “vampiri”, con tutte le conseguenze che tale fatto comporta.
Se questo breve riassunto di V Wars, nuova serie horror-scify targata Netflix, può sembrare un’accozzaglia di cliché e trame trite e ritrite che vanno da La Cosa di John Carpenter fino alla serie tv iZombie (che tratta pressapoco le stesse tematiche solo in stile più comedy-action)… ebbene è proprio così.
Nulla in V Wars nasce dal nulla ma è tutto un rifare cose già viste, adottando soluzioni e stilemi atti a rendere lo show altamente prevedibili fin dai primi 5 minuti, e nulla vale il fatto che la serie in questione prenda spunto da un fumetto originale dello scrittore statunitense Jonathan Maberry, vincitore di ben più di un Bram Stoker Award (gli “Oscar dei libri e fumetti horror”).
Già il fatto che il protagonista, lo scienziato-discepolo di Greta Thunberg Luther Swann, sia interpretato da Ian Somerhalder, la dice assai lunga. L’attore di The Vampire Diaries dimostra di essere a suo agio in una serie horror a tema vampiresco che si basa continuamente sul binomio sesso-morte. E lui stesso è perfetto nell’interpretare un sexy-nerd della biologia impegnato su due fronti: da una parte la lotta contro i batteri, liberati dallo scioglimento dei ghiacciai, dall’altra le continue sessioni di sesso sfrenato con la moglie-ninfomane Jessica (una sempre gradita Jessica Harmon).
Ma se la serie fosse basata interamente su questo, per quanto possa essere soft-porn horror, sarebbe già più accettabile. Ma il problema è che V Wars vuole anche avere la pretesa di essere una metafora della società contemporanea, o quantomeno si presenta in una veste super-seriosa in cui all’allarmismo per il climate change si ricollega un discorso socio-politico (la divisione in due classi sociali: “normali” e vampiri, di cui la seconda, guarda caso, riguardante soprattutto le classi sociali più “basse”) che è anche quello un cliché abbastanza stra-abusato del genere horror.
Di questa particolare sotto-trama è protagonista il personaggio di Michael (Adrian Holmes), “quello di colore”, collega e migliore amico del dottor Luther (la scena in quarantena è degna di una pubblicità progresso, vedi immagine di copertina), il quale ha il difetto di assumere su di sé tutti gli stereotipi dell'”uomo di colore nei film horror”.
A parte il fatto che guida un auto di lusso per andare al lavoro (la ricerca scientifica paga bene negli USA), è ovviamente l’unico dei due a venire contaminato in maniera negativa dal “batterio vampiresco” finendo poi arrestato e condannato con tanto di discorso anti-razzista e deve contare solo sull’aiuto del collega-scienziato-detective caucasico per potersi salvare (inutilmente poiché lui è effettivamente un vampiro!).
Il resto della puntata è un lento susseguirsi di scene oniriche che preannunciano il contagio del morbo che porterà alla creazione della società di vampiri, e il pericolo che questo crea nella vite dei protagonisti.
Il vero problema della puntata è che tutto questo viene solamente accennato. Non c’è un vero plot twist all’interno dell’episodio. tutto è abbastanza scorrevole e prevedibile nella sua logicità. perfino i pochi jumpscares presenti sono ampiamente annunciati e questo è un grande difetto in quanto la suspense viene di fatto azzerata (sebbene dal punto di vista tecnico questi sono ben realizzati).
Un pilot, dunque, che funge da mera introduzione ma che non appassiona. Difficile pensare che si possa andare avanti nella visione, sebbene quei pochi elementi rilasciati danno adito a un’evoluzione in crescendo della narrazione.
È probabile, quindi, che le successive puntate siano migliori, ma è un grosso azzardo e l’unica cosa che può salvare la serie è la persistenza dello spettatore nell’andare avanti nel binge-watching.
Però, certo, se il buongiorno si vede dal mattino…
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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!