Quando si raggiungono nuove vette qualitative in una serie, sono tre le cose che possono succedere:
- Salire ancora più in alto;
- Assestarsi e prendere confidenza col nuovo status quo;
- Regredire allo stadio precedente. Vikings, in questo episodio, rientra in parte nella seconda categoria e in parte nella terza.
Pur inserendosi dopo gli eventi di “The Profit And The Loss“, nella ricerca del giusto equilibrio, finisce per scivolare un pochino, confezionando manovre narrative quantomeno discutibili.
La “colpa” è da imputare all’episodio precedente, il quale ha mostrato la svolta narrativa finora più corposa e più apprezzata della quarta stagione, attualmente composta più da dialoghi e scambi di battute piuttosto che da scene d’azione o eventi davvero drammatici. Una volta che si raggiunge un nuovo stadio qualitativo delle cose, non si può più tornare indietro, poiché lo spettatore vuole esige costanza: se una serie tv mostra anche solo una volta di saper narrare grandi eventi, le aspettative del pubblico si alzano e le loro pretese diventano (giustamente) maggiori. Michael Hirst questo lo sa e, infatti, fa di tutto per tenere acceso il fuoco dell’hype fatto partire in “The Profit And The Loss“, confezionando in “Portage” colpi di scena inaspettati e di grande efficacia visiva. Il problema è che questi plot twist – perlopiù uccisioni di alcuni personaggi – hanno una natura abbastanza vigliacca, messi in scena nel tentativo di ripetere un grande evento come quello della scorsa puntata (l’attacco a Parigi) e per dare allo spettatore un’uccisione di qualche tipo, senza però sacrificare figure di grande importanza all’interno della serie.
Difatti, nonostante le morti di Yidu, Odo e Kwenthrith riescano a imporsi nella memoria dello spettatore per la spettacolarità della loro esecuzione, va detto che la sorpresa svanisce dopo poco, poiché i personaggi che ci lasciano sono characters alquanto marginali. Molto shakespeariana la dipartita di Kwenthrith, soprattutto nel momento del suo congedo tra le braccia della sinistra mietitrice, accompaganto dalla frase: “Povera Judith. Così hai ucciso due volte“. Stesso discorso lo si fa per Odo, la cui morte ricorda molto, nella messa in scena, lo stile di Game Of Thrones, più che altro per tutta la cornice di intrighi e tradimenti di contorno. Ma in tutta sincerità: ce n’è mai importato qualcosa di questi due? No. Ed è proprio per questo motivo che nel momento della loro morte la sensazione di sorpresa viene suscitata perlopiù dalla teatralità della sequenza, e non perché la loro uccisione rappresenti il culmine di un percorso formativo. Yidu poi ha l’aggravante di essere, fra i tre, quella più approfondita nelle ultime puntate, oltre che essere morta in un momento in cui la sua crescita ha avuto inizio. Ucciderla ora ha di sicuro valorizzato la pazzia che sta sempre più dilagando in Ragnar, a scapito però di un personaggio che poteva dare ancora molto.
Uccidere Re Ecbert sarebbe stata una scelta indubbiamente più coraggiosa ma, per motivi legati alla natura stessa del serial, non è stato possibile. Vikings è soprattutto una serie storica che si serve di un personaggio semi-leggendario per raccontare una trama a metà tra la fantasia e la realtà. Una realtà che viene enormemente rispettata. Narrativamente, l’ipotetica uccisione del re del Wessex sarebbe stato veramente un colpo di scena coraggioso ma, essendo Re Ecbert un personaggio veramente vissuto, il prezzo da pagare per soddisfare questa esigenza di trama si presentava troppo alto: l’attinenza storica ne avrebbe risentito. In più, ci sono ancora dodici episodi da riempire, quindi con certi plot twist si va coi piedi di piombo.
Mentre queste morti rappresentano in tutto e per tutto il concetto di croce e delizia, solo due aspetti finiscono per rientrare nei Thumbs Up e Down: la visione di Torvi e la relazione Harbard/Auslag. La visione della nuova fiamma di Bjorn possiamo dire che è la continuazione del sogno ad occhi aperti di Ragnar avuto in “What Might Have Been“, sequenza in cui il serial ha forse voluto ricordare che tale visione onirica del re di Kattegat non è stata mostrata per caso, ma perché qualcuno ci rimetterà la pelle davvero. Insomma, è l’inizio del toto-morto e Vikings invita i suoi spettatori a fare le proprie puntate, cominciando a mettere zizzania con scene come questa. La relazione tra Harbard e Auslag, invece, ricorda fin troppo quella tra Rollo e Gisla che tanto è venuta (e continua a venire) male. Qui addirittura si mostrano le liti coniugali con tanto di lancio di arredi per la casa, sequenza che ricorda, in potenza e verve comica, Casa Vianello dei bei tempi andati. Ma cos’hanno tutte le coppie in questa stagione, la sindrome da crisi del settimo anno?
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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The Profit And The Loss 4×07 | 2.30 milioni – 0.7 rating |
Portage 4×08 | 2.25 milioni – 0.6 rating |
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