Una delle tante critiche, mosse al tempo in cui Heroes veniva trasmesso, era quella di essere terribilmente intricato. Se da una parte il serial poteva essere ammirato per la moltitudine di personaggi e per l’affresco narrativo ritagliatogli attorno al fine di collegarli tutti, dall’altra bisognava prenderlo a coppini per come collegava tutte le vicende e i protagonisti. Cose da vero mal di testa, capaci di mandare in confusione anche lo spettatore più abile nel digerire e comprendere le varie operazioni di retcon.
Heroes Reborn non è stato da meno e, come abbiamo detto in tutte le nostre recensioni finora, il revival firmato nuovamente da Tim Kring riusciva a dire qualcosa di nuovo e diverso solamente a tratti. Per tutto il resto del tempo cadeva vittima di pregi e difetti della serie gemella; ma non siamo qui per un bilancio della serie, quello l’abbiamo già fatto la volta scorsa. In questa recensione concentriamoci su altri aspetti.
Ricollegandoci a quanto detto in apertura, Heroes faceva perdonare la sua intricata natura nei finali di stagione, quando collegava e concludeva tutte le trame, completando così il suo disegno narrativo. Anche in questo revival abbiamo un finale che dà un senso a tutto e dona agli spettatori quei pezzi per completare il puzzle, facendo sopratutto capire che il vero scopo di questa miniserie non era un tuffo nostalgico nel passato, bensì una vera e propria operazione di rinascita. Ed ecco spiegato anche il titolo della serie: Tim Kring voleva veramente dare nuova linfa vitale alla sua affezionatissima creatura ed è riuscito a tenerlo nascosto per tutto questo tempo. Quindi, questa prima (e unica) annata di Heroes Reborn si pone più come una “stagione zero”: una stagione prologo in cui riprendere i vecchi fili di una narrazione abbandonata per cinque anni, resuscitando così il brand per raccontare un nuovo capitolo di Heroes.
Kring ha impiegato di sicuro molto per preparare il terreno ma, alla fine, il suo “Project Reborn” prende davvero forma, tant’è che ogni personaggio, anche quello più inutile e insulso (coff coff, El Vengador, coff coff) alla fine dell’episodio si trova con uno scopo da portare avanti, oppure protagonista di una fine perfettamente circolare del suo personale corso. Sotto quest’ottica, ma sopratutto in un’ottica che contava un rinnovo (poi non realizzatosi), tutto acquista maggior senso e maggiore curiosità, sarebbe stato decisamente interessante vedere come i nuovi protagonisti se la sarebbero cavata in un mondo quasi privo delle vecchie glorie. Ma c’è comunque dell’amarezza in tutto ciò.
Le buone intenzioni e le idee, sicuramente non malvagie di Kring, appaiono cristalline allo spettatore ma, purtroppo, la realizzazione è tutt’altro che riuscita. Troppi i deus ex machina, troppi i colpi di scena, troppi i flashback, mostrati oltretutto troppo velocemente e tutti uno dopo l’altro, manco se fossero cariconi di +4 in una partita a Uno. Questo ha appesantito la visione ed il susseguirsi di eventi che sono diventati difficili da elaborare, non perché presentavano situazioni e concetti difficili in sé, quanto perché l’accumularsi di tutte queste informazioni ha richiesto tempo che lo spettatore non ha avuto, dato che era impegnato a guardare altri colpi di scena mostrati quasi con sadismo random.
Questo ha trasformato scene di potenziale efficacia narrativo/scenica in un susseguirsi di non-sense, oltretutto mostrate con una smodata fretta, quasi come se registi, sceneggiatori e interpreti si fossero rotti le scatole di partecipare all’episodio. Molte delle informazioni cruciali sui gemelli Skywalker Petrelli e su come sventare la distruzione del pianeta ci sono state rivelate in “Project Reborn”, facendole apparire come inventate di sana pianta per la puntata. Il che è frustrante perché il season finale dà le sue risposte e i conti tornano ma è anche impossibile non avvertire un sentore di “trovata dell’ultimo minuto”. Questo per colpa del serial e di Kring in primis che non ha speso in precedenza il tempo necessario sullo sviluppo di queste informazioni, finendo per saturare la narrazione nel series finale.
Breve discorso a parte lo facciamo per la morte di Noah Bennett. Da una parte, valorizziamo la scelta della sua dipartita perché, effettivamente, un personaggio così amato e così centrale offuscava la crescita degli altri; immaginiamo che Kring volesse far diventare Nathan/Tommy e gli altri i degni successori di Peter Petrelli & Co. Avere Bennett che ancora gravitava attivamente attorno a loro ne avrebbe ritardato la crescita caratteriale. Dall’altra parte, però, chi ci assicura che questi personaggi sarebbero davvero cresciuti e avrebbero acquistato spessore e carisma? Noah, in quel caso, avrebbe potuto controbilanciare le mancanze degli altri personaggi e far quadrare il tutto. Ma queste sono cose che (purtroppo o per fortuna, scegliete voi) non scopriremo mai, ma è chiaro che la cosa acquista la doppia valenza di pregio e difetto all’interno della puntata.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Oltre il danno, poi, pure la beffa. La quarta stagione di Heroes finì con una grande progressione di trama: Claire Bennett che rivela al mondo i suoi poteri e, di conseguenza, l’esistenza degli EVO. Qui, succede la stessa cosa: quando la serie avrebbe dovuto esplodere, viene cancellata. Con in mano praticamente un pugno di mosche, la domanda con cui vogliamo congedarci (e a cui è difficile trovare una risposta) è la seguente: ne è valsa la pena?
Company Woman 1×12 | 3.82 milioni – 1.0 rating |
Project Reborn 1×13 | 3.83 milioni – 1.0 rating |
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