“Each time you go in, everything resets.
It’s always 11:58 on October 21, 1960.
You saw how everything looked exactly the same? No matter how long you stay… Three weeks, three years… When you come back, only two minutes will have passed here.”
In una recente intervista promozionale, James Franco ha rivelato di essere letteralmente incappato nel libro di Stephen King mentre girovagava per una libreria all’interno di un aeroporto. Affascinato dalla copertina, l’ha acquistato e ne è rimasto completamente innamorato tanto da aver iniziato un rapporto epistolare moderno (quindi via e-mail) con Stephen King stesso per informarsi circa i diritti del libro, all’epoca già acquistati da un certo J. J. Abrams. In una sorta di “scelta del destino”, Franco scrisse una recensione del libro che venne poi letta dallo stesso Abrams che lo contattò per offrirgli la parte di Jake Epping, ovvero colui che proverà a tornare nel passato per cambiare il presente salvando John Fitzgerald Kennedy. Destino?
Hulu ha dato via libera alla realizzazione di questa ennesima trasposizione televisiva di un libro di Stephen King affidando tutto nelle mani di J. J. Abrams, Stephen King, Bridget Carpenter e Bryan Burk: una sola miniserie, 8 episodi, tanta qualità. Il rischio dell’ennesima debacle in stile Under The Dome sembra quindi evitato in partenza.
Fin dai primi minuti si ha subito modo di empatizzare con il character di Franco, autentico mattatore della serie, si ha modo di apprezzare il suo modo di pensare e il suo difficile ambientamento in un’altra decade. L’approccio utilizzato da Abrams e dal team di sceneggiatori è molto “naïve”, un po’ puerile per certi versi perché l’innocenza che si vede riflessa negli occhi di Jake Epping quando si ritrova nel 21 Ottobre 1960 e parla con Al Templeton circa questo “sgabuzzino del tempo” è evidente. La sorpresa è sì espressa ma non nel modo in cui ci si potrebbe attendere e, a sostenere ulteriormente questo approccio ingenuo, c’è un certo grado di accettazione della realtà che è completamente fuori da ogni scala razionale. Nel momento in cui Al, ad inizio episodio, scompare e ricompare totalmente invecchiato e sciupato (tanto da risultare difficile persino per lo spettatore il riconoscimento del personaggio), Jake non si pone troppe domande anche se dovrebbe. Come dicevamo quindi, un approccio “naïve”. Non asseriamo che sia sbagliato, semplicemente lo evidenziamo perché è parte integrante della narrazione.
“You see, the past doesn’t want to be changed. There are times when you feel it push back, you know? You feel it. When you’re close to changing something, it’s hard to describe, but you’ll know. If you do something that really fucks with the past, the past fucks with you.”
Quando si pensa a viaggi nel tempo, effetti farfalla e cambiamenti improbabili nel presente frutto di una piccola variazione nel passato, viene ovviamente subito alla mente la trilogia di “Ritorno Al Futuro”. Sia dal lato cinematografico che da quello seriale, si è sempre data per buona questa legge non scritta del cambiamento degli eventi al minimo dettaglio, sia perché molto plausibile, sia perché estremamente affascinante. King però nel suo 11.22.63 adotta una filosofia di pensiero diversa circa il passato: il passato non vuole essere cambiato.
Questa frase è estremamente importante perché cambia radicalmente il modo in cui lo spettatore deve approcciarsi alla visione. Il passato diventa Passato, con la lettera maiuscola, in quanto esso stesso è un personaggio, intangibile, è vero, ma con una sua volontà ed un modo per interagire con Jake Epping e con Al Templeton. Raramente si è riusciti a rendere un oggetto inanimato come un soggetto senziente, tuttavia il paragone spontaneo, anche perché è l’artefice di questa trasposizione, è con l’Isola di Lost di J. J. Abrams, probabilmente l’esempio più calzante in questo caso. Se l’Isola assume una sua caratura con il passare delle puntate e delle stagioni, il Passato si rende subito protagonista anche tramite i vari “You shouldn’t be here” usati come intercalare per tutto l’arco della series premiére.
“Save the cheerleader JFK and save the world his brother.”
L’approccio “naïve” che si notava qualche riga più sopra, viene riproposto in maniera importante dal MacGuffin della serie: salvare JFK equivale a rendere il mondo un posto migliore. La faciloneria di questa equivalenza è evidente ma deve anche essere presa per quello che è, ovvero come un assioma.
La morte di Kennedy ha suscitato un eco ed uno scalpore globale e, per quanto si possa negare, sicuramente ha cambiato radicalmente le scelte della politica globale seguenti la sua morte. La domanda razionale, e non “naïve”, è: se Kennedy non fosse stato ucciso, il mondo sarebbe un posto migliore? Sicuramente la politica americana ne avrebbe risentito, forse non ci sarebbe mai stata la guerra in Vietnam o il fenomeno degli hippie, così come magari si sarebbe incappati in un conflitto mondiale che avrebbe potuto trasformare la Guerra Fredda in 3° Guerra Mondiale. Tutte ipotesi, nessuna sicurezza dell’evento, eppure è proprio su questo che si basa 11.22.63: su questa supposizione iniziale che vede il mondo marcire a partire dall’assassinio a Dallas alle ore 12:30 del 22 Novembre 1963. Bisogna prendere per buona questa supposizione iniziale per apprezzare al meglio la serie di Hulu ed il libro di King, non riflettere molto sulla effettiva realizzazione dell’evento e godersi il viaggio. Infondo se il Passato non vuole essere cambiato difficilmente permetterà che il presente lo sia.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.