Il genere crime è indubbiamente il più trattato dalla serialità, per via della sua versatilità e della grande varietà di categorie in cui può manifestarsi: ci sono i procedurali puri e semplici costruiti sul caso della settimana, i legal drama incentrati sugli avvocati e sulle aule di tribunale, i thriller, i noir, le caper stories incentrate su mafiosi e criminali, le detective stories, le parodie, le contaminazioni tra due o più di questi sottogeneri, le applicazioni ad altre tipologie di storie come il period drama o la sci-fi.
Riuscire a realizzare qualcosa di nuovo in un genere così affollato ed evitare gli innumerevoli stereotipi e luoghi comuni non è facile, ma le vie da percorrere non mancano: si può scegliere di trattare un argomento poco battuto, come ha fatto Narcos con il narcotraffico nei paesi latino-americani, oppure di ambientare la storia in una regione particolare e poco sfruttata, come hanno fatto la prima stagione di True Detective con la Louisiana e Ozark con l’omonimo altopiano tra Arkansas, Missouri e Oklahoma. Oppure si può decidere di mettere in campo una tecnica narrativa particolare, come fa Rellik.
Rellik, che è semplicemente “killer” scritto al contrario, per rendere palese fin dal titolo la propria particolarità. È una delle ultime due fatiche dei fratelli Harry e Jack Williams, già creatori di The Missing, e per un bizzarro caso va in onda su BBC One nello stesso giorno e alla stessa ora dell’altro lavoro del duo, Liar, trasmesso invece da ITV. L’ordine “naturale” dei thriller prevede l’omicidio all’inizio, come evento che dà inizio alla trama, le investigazioni nel mezzo, magari con false piste, sospetti colpevoli che si rivelano innocenti e complicazioni varie, la scoperta del colpevole e il suo arresto (o uccisione) nella conclusione; Rellik, invece, sovverte quest’ordine collocando la morte del (presunto) serial killer all’inizio del pilot e iniziando a risalire a ritroso la cronologia degli eventi, con tanto di effetto riavvolgimento nel momento in cui si verifica un timeskip (sempre di poche ore, mai di interi giorni). A onor del vero, la tecnica della narrazione in verso inverso non è affatto inedita in campo audiovisivo, essendo stata usata già in pellicole come Memento, Irréversible e 5×2 e, nell’ambito televisivo, nei cosiddetti backwards episodes di serie come Seinfeld, The X-Files e Sliders; la novità di Rellik sta nella sua applicazione a un intero racconto seriale, diviso in più episodi (sei, per la precisione).
Raccontare una storia al contrario, contrapponendo specularmente la fabula e l’intreccio/montaggio, può rivelarsi un’arma a doppio taglio. Da un lato, è una tecnica narrativa che obbliga lo spettatore a un’attenzione e una concentrazione maggiori di quelle che richiederebbe una storia raccontata in maniera tradizionale, e rischia di creare confusione. Nel contempo, però, superato il senso di straniamento e di bizzarria e messa in campo la giusta dose di attenzione, lo spettatore può approcciarsi alla narrazione in maniera inedita, venendo a conoscenza prima dei fatti finali e solo dopo delle loro cause e dei loro antefatti; ciò da un lato porta a leggere già in partenza ogni evento e ogni scena alla luce di quello che nel montaggio lo precede e nel contempo lo segue nella fabula, cogliendovi magari significati o particolari che altrimenti sarebbero passati inosservati, e soprattutto, grazie alla sapiente scrittura della serie, suscita nuove domande e solleva nuovi misteri invece di chiarire il senso delle vicende. Basti un solo esempio: in una delle prime scene, il detective protagonista, Gabriel Markham, fa sesso con la sua collega, Elaine, dando l’impressione di essere una coppia sia nel lavoro sia nella vita privata; successivamente (ma è in realtà un avvenimento cronologicamente precedente) i due hanno un breve dialogo che sembra segnare la fine della loro relazione; nel finale dell’episodio, che è ambientato ancora prima, si scopre che Markham è sposato con un’altra donna, a cui promette di rompere la relazione con Elaine, ma si fa anche riferimento a una qualche oscura colpa della donna che probabilmente verrà fuori risalendo ancora indietro nel tempo.
“Being a schizophrenic doesn’t make you a murderer.”
La tecnica della narrazione au contrarie ha ricadute anche sul modo in cui sono presentati i diversi personaggi. C’è una coppia di poliziotti, Asim e Mike, che dopo un briefing sul serial killer da catturare dà vita a una scazzottata in centrale; bisogna aspettare qualche scena per scoprire che i due stavano insieme e che quella litigata pubblica è il risultato di una rottura, le cui cause ancora non sono state mostrare. Su un aereo compare un uomo distinto e di classe, Patrick; solo più avanti, in un incontro in una camera d’albergo con la donna amata, viene fuori che sta lasciando la città per qualche legame con gli omicidi e le aggressioni che si stanno verificando, legame che ovviamente per il momento rimane oscuro. Steve Mills, l’uomo ucciso all’inizio, appare fin da subito come un individuo disturbato, ma anche spaventato, forse non proprio il perfetto assassino seriale; risalendo all’indietro la cronologia degli eventi emergono sempre più indizi che ne confermano la colpevolezza, fino al colpo di scena finale che suggerisce invece l’esistenza di una verità ben più complicata. E si è già parlato di come è introdotta la sottotrama della relazione tra il protagonista e la sua collega.
Nei panni del già citato detective Markham c’è Richard Dormer, noto ai più per i ruoli di Dan Anderssen in Fortitude e di Beric Dondarrion in Game of Thrones: qui abbandona la benda sull’occhio e la spada infuocata per interpretare un uomo sfigurato da un’aggressione con l’acido, vittima dello stesso serial killer che sta cercando di catturare, particolare questo che crea un coinvolgimento ancora maggiore del protagonista nell’indagine e dà un tocco di freschezza al thriller. Ad affiancare Dormer ci sono Jodi Balfour, già vista in Quarry, Ray Stevenson, noto per i ruoli di Tito Pullo in Rome e di Edward Teach alias Barbanera in Black Sails, e Paul Rhys, comparso di recente in Turn: Washington’s Spies nei panni del re folle Aerys II Targaryen Giorgio III: un cast nel complesso molto convincente, di quelli che solo le serie britanniche possono riuscire a riunire.
Ciliegina sulla torta, il pilot (e presumibilmente l’intera serie) è permeato da un’angosciante atmosfera cupa, da noir; personaggi accigliati e torvi, di poche parole; una colonna sonora usata sapientemente, che si fa incalzante nei momenti di maggior tensione; l’insistente pioggia londinese; una sigla tra le più inquietanti mai create. Si intuisce anche che Steve Mills potrebbe non essere il vero assassino ma una mera marionetta nelle mani del vero colpevole, se non addirittura un povero uomo disturbato coinvolto in qualcosa di molto più grande di lui; resta da vedere se il detective Markham, che ha i medesimi dubbi, investigherà per risalire al vero colpevole e, se sì, in quale ordine i fratelli Williams decideranno di raccontare questa parte della storia.
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Episode 1 1×01 | 3.6 milioni – ND rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.