“Listen well.
It’s true, when the people see the police, they will be afraid.
But it is my experience that when the people ask questions that are not in their own best interest, they should simply be told to keep their minds on their labor and leave matters of the State to the State.
We seal off the city.
No one leaves.
And cut the phone lines.
Contain the spread of misinformation.
That is how we keep the people from undermining the fruits of their own labor.
Yes, comrades we will all be rewarded for what we do here tonight.
This is our moment to shine.“
I toni cupi e desolanti di questa “1:23:45” sono prevedibilmente l’essenza stessa di questa miniserie. Non è una sorpresa, anzi era piuttosto doveroso aspettarsi un qualcosa di simile dalla prima produzione in collaborazione tra HBO e Sky, e così fortunatamente è stato nonostante la penna dietro questa Chernobyl. Si perché Craig Mazin è più famoso per essere lo sceneggiatore di Una Notte Da Leoni 2 e 3, film da un tono diametralmente opposto rispetto a quanto questa miniserie dovrebbe avere.
Come spiega lo stesso sceneggiatore nel dietro le quinte di questo episodio, il pilot parte con un grosso spoiler (il suicidio di quello che si rivelerà poi essere il protagonista, un Jared Harris estremamente provato) per evitare la tentazione di togliere il focus dal disastro e dai drammatici eventi finendo per dare alla storia del protagonista più spazio. Ed è una scelta audace quella di mettere direttamente tutte le carte in tavola: si ha un inizio, con il disastro di Černobyl, ed una fine, con il suicidio (vero) di Valerij Alekseevič Legasov. Tutto quello che rimane è esattamente il focus principale di Mazin, ed è apprezzabile, tanto che Harris compare forse 5 minuti in tutta l’ora di puntata, giusto a conferma di quanto detto.
La prima cosa che salta all’occhio, se si guarda la puntata in lingua originale, è lo spiccato accento britannico che marca chiaramente qualsiasi conversazione che dovrebbe invece avere un accento russo o ucraino. La “colpa” è ovviamente della collaborazione con Sky che, invece di prediligere un realismo a tutto tondo, ha preferito optare per un qualcosa di meramente commerciale e rivendibile in più paesi. Una scelta discutibile, soprattutto per chi ritiene sia necessario optare sempre più per il massimo realismo scenico, anche a discapito di attori più bravi nel ruolo. Premesso questo, il fatto è che, volente o nolente, l’accento anglosassone primeggia in diverse scene andando a togliere quell’autenticità che regia e scenografie invece danno al pilot. Bisognerà farci l’abitudine.
Detto ciò, la puntata ha l’intento primario di presentare un ecosistema, non uno specifico personaggio, e quindi lo spettatore viene catapultato direttamente nel mentre della catastrofe ambientale che viene presentata da e con un folto cast di character (per lo più secondari) che servono principalmente per dare un quadro a tutto tondo della situazione. Ecco quindi che viene fornita la prospettiva all’interno della centrale nucleare, da un punto di vista degli aiuti (pompieri e medici/infermieri) e poi da quello politico, che alla fine è quello che sarà più interessante. La confusione circa i nomi dei personaggi è normale, non bellissima da vivere ma estremamente utile per enfatizzare la prospettiva oggettiva e globale che lo show prova a fornire. Difficilmente si è mai trovata una (mini)serie con questo approccio, e va quindi lodata la caparbietà di Mazin nel tentare qualcosa di nuovo e diverso. Per adesso funziona, nell’attesa di entrare nel vivo della narrazione.
Bisogna comunque ammettere che, al di là della difficoltà iniziale nel riscontrare un personaggio principale (e dell’accento british), “1:23:45” riesce totalmente a rendere realistica e “pesante” l’atmosfera che si respirava nelle prime ore del disastro, oltre che enfatizzare la politica estremamente conservativa ed autoritaria dell’URSS. Praticamente i due elementi principali di questo pilot, entrambi perfettamente trasmessi.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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1:23:45 1×01 | 0.75 milioni – 0.2 rating |
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.