Mancano ormai solo poche ore al gran finale. Nel bene e nel male, tra alti e bassi, le Nuove Direzioni, vecchie e nuove, ci hanno accompagnato in questi lunghi sei anni, regalandoci momenti di fresca ilarità, inframezzati da siparietti di imbarazzante incredulità, conditi da scene più volte strappalacrime. E lo hanno fatto ballando, cantando, quando nella piccola aula canto dove tutto è iniziato, quando nell’auditorium, sede di numerose esibizione amatoriali e coinvolgenti competizioni.
Ecco, le gare. Componente senza dubbio più riconoscibile ed entusiasmante dello show, in passato (almeno per le prime tre stagioni) puntuale appuntamento per assistere non solo alle migliori performance del gruppo, ma anche a svolte di trama decisive e importanti. Col tempo, tale pratica si è inevitabilmente persa, una volta vinto il titolo nazionale e dopo l’esodo di molti personaggi-chiave, mettendo in scena numeri sempre meno rilevanti in termini qualitativi, con una scelta di canzoni virata verso intenti sempre più esclusivamente commerciali, mancando poi di una dovuta centralità e giusta attenzione.
Le Provinciali dell’ultima stagione sembrano collocarsi a metà tra i due aspetti. Immancabili, ad esempio, le tre esibizioni (rispetto alle due, a volte una, concesse agli avversari di turno) riservate alle New Directions. Presente, poi, una certa spettacolarità, sia in quelle dei Vocal Adrenaline (in un secondo riferimento al proprio passato, dopo l’arrivo a Lima dell’ex coach Jesse St.James), sia, sorprendentemente, in quella dei protagonisti (guidata dal duo Roderick/Spencer, in una sottotrama indubbiamente riuscita). Le canzoni, nonostante una prestazione magistrale, seguono l’ultimo annunciato trend del trasporre quasi di sana pianta le hit del momento, come “Take me to church” (chi, ascoltando la radio, non l’ha beccata su per giù quelle ventimila volte), per cui l’attore Noah Guthrie, tra l’altro, sembra esser stato preso nel cast apposta. Niente a che vedere, quindi, con le storiche e ineguagliabili Regionali della prima stagione o quelle dell’originale “Loser like me” nella seconda, ma almeno un evidente passo avanti rispetto al rivedibile “Gangnam Style” delle Provinciali della quarta.
A ritornare sonoramente dal passato, però, è sicuramente lo spirito. Quello che ci ha maggiormente fatto innamorare di questa serie, quell’unione di etnie, classi sociali e modi di essere (stavolta, vista la presenza di Myron, pure di diverse età) accomunati dalla passione per la musica e dalla voglia di vincere, sia la competizione che i pregiudizi e malesseri che regnano nel proprio liceo. Unione testimoniata dalla storyline secondaria, ma, come abbiamo detto, abbastanza cruciale, di Roderick e Spencer, unico vero rapporto “nuovo” approfondito in questa decina di episodi.
Ritorniamo, in fondo, sempre lì, alla commistione perenne tra nuovo e vecchio che sta caratterizzando, a fasi alterne, quest’ultimo anno. Per il series finale, infatti, ci aspettiamo sicuramente un doppio episodio denso di commoventi e toccanti omaggi, non chiedendo niente di più che rivivere certe emozioni, e dire addio ai nostri beniamini. “We Built This Glee Club” si pone, quindi, perfettamente in linea con tali duplici punti di vista. Se da una parte, assistiamo alla riscossa degli ultimi arrivati, dall’altro ci prepara il prossimo scenario, con richiami continui allo show di una volta.
Punto di contatto delle due ottiche, il personaggio di Rachel Berry, per svariati motivi. Innanzitutto, grazie al motivante discorso pre-gara, il quale ha il merito di riportare un’atmosfera che non si avvertiva da parecchio. Degno di più d’una lacrima ed emozione, il montaggio finale, con i festeggiamenti dell’ultimo trofeo, sovrapposto a quelli conquistati precedentemente. Tutto parte, poi, dal bellissimo rapporto con Mr. Shue, mai reso in maniera tanto efficace quanto emotiva.
Ma, ovviamente, la vita e il background del personaggio non ruota interamente attorno al Glee Club. Per cui ritorna il fatidico dubbio tra la Nyada o Broadway, dagli esiti forse scontati, ma occasione, ancora, per tornare sul difficile addio alle antiche abitudini, alla decisiva e più responsabile entrata nell’età matura, e, simbolicamente, all’aula del Glee e ai ricordi del Liceo. Pretesto, poi, per reinserire nella storia Jesse St. James, che fa il suo trionfale ingresso esattamente come in “Prom Queen” (dodicesimo episodio della seconda stagione), quando ha accompagnato la ragazza nella performance di “Rolling in the deep”. Piacevole e quasi naturale, se preso a sè, il bacio finale tra i due (anche perchè, diciamocelo, la storia con Sam non ha nè capo nè coda), e delizioso il riferimento alla scena delle “uova”.
Una mano significativa al successo delle Nuove Direzioni sembra darla Sue Sylvester, in modo ovviamente personale. Dopo la sua caduta e ascesa, infatti, svela vari e impensabili retroscena, chiudendo un cerchio, non solo della storyline del personaggio negli ultimi episodi, ma praticamente di tutta una stagione, o addirittura, volendo, del percorso del personaggio nell’arco dell’intera serie. E ora che, con quel sorriso antecedente i titoli di coda, anche la sua storia appare pressoché finita, niente risulta lasciato in sospeso in vista di un series finale che si preannuncia aperto a qualsiasi prospettiva.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
The Rise And Fall Of Sue Sylvester 6×10 | 1.81 milioni – 0.6 rating |
We Built This Glee Club 6×11 | 2.02 milioni – 0.7 rating |
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Tags:
Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.