Il doppio pilota, nonostante la sua eccessiva lentezza e la scorrevolezza di funzionare a tratti, si segue perché si rivede Noah Bennett, perché ritornano gli approfondimenti etico-filosofici sull’essere un eroe e la sua figura, perché ritorna la struttura in archi narrativi fumettistici, perché si rivede la spada di Hiro di nuovo sguainata, perché ritorna la simbologia della serie con annesse leggende/profezie, perché ritornano le atmosfere misteriose e altri genuini momenti di fanservice (sfruttati però alla grande e con sapienza, CGI da mercato del pesce a parte) che spingono sopratutto il vecchio pubblico a riscoprire il mondo degli eroi di Kring, ma se dovessimo togliere il fattore “feels” e tutti gli elementi che fanno leva sull’amarcord, “Brave New World/Odessa” sarebbero stati semplicemente un’accozzaglia di eventi criptici rappresentati con sequenze lente, destrutturate e apparentemente sconnesse che non forniscono nulla di concreto per capire il quadro generale e che, per di più, sembrano sempre in procinto di esplodere ma non lo fanno mai; addirittura, qualcuno potrebbe giudicare certe scelte come un bieco tentativo di rimettersi in gioco e ricalcare il successo di telefilm che sono riusciti a imporsi come innovazione (Marvel’s Daredevil), vedi la scelta di presentare un eroe in maschera tra i personaggi principali, anche se sbaglierebbe poiché Heroes è sempre stata una macchina di citazioni fumettistiche più o meno evidenti ed El Vengador non fa eccezione. Ma il rovescio della medaglia di tutto ciò, è che questo comportamento è anche comprensibile, perché rivedere Heroes di nuovo tra i nomi della programmazione seriale, è come vedere un Bruce Wayne ultracinquantenne, amareggiato e pieno di acciacchi che ritorna ad essere Batman.
C’è da tenere conto questo. Anche se non stiamo parlando di un telefilm eccessivamente datato, visto che in fondo sono passati solo cinque anni dalla sua conclusione, è assodato che le serie tv siano come i computer: ogni giorno ne esce uno nuovo e molto spesso più avanzato e funzionante di quello uscito il giorno prima (basti pensare che, in questi cinque anni di pausa forzata di Heroes, si sono affermati Breaking Bad, True Detective e Mr. Robot); la cancellazione dello show, purtroppo per lui, è stata abbastanza da etichettarlo come show retrogrado e legato a dinamiche ormai superate, e quindi le domande “ci ricordiamo ancora come si fa?” e “ma alla gente frega ancora qualcosa/si ricorderà di noi?” che giravano in testa a attori e registi erano più che legittime e comprensibili proprio perché anche loro stessi non troppo fiduciosi dell’idea del revival (ulteriore prova è il format delle puntate, spacciata come miniserie da tredici). Heroes non è cambiato, e su certe cose si vede e, da come le atmosfere sono presentate, sembra quasi che non se ne sia mai andato, quindi, proprio come quel Bruce Wayne anzianotto citato poc’anzi, non avanza la pretesa inutile di cambiare la sua sempre criminosa Gotham City, che nel frattempo è andata avanti senza di lui ed è addirittura peggiorata: decide, al contrario, di cambiare sé stesso ed adattarsi ai tempi, “consiglio” che segue anche Kring stesso prendendo quel finale quasi Disneyiano e buttandoci sopra un chilo di sfiga, paranoia, tragedia e terrore.
Anche qui c’è da dire che la premessa dell’isteria e della caccia al diverso non è originalissima e non è niente che Chris Claremont non abbia già trattato nei suoi diciassette anni di gestione degli X-Men, pluricitati nel doppio-pilota, non solo con citazioni spicciole (“ci lanceranno droni addosso”, riferito alle infami Sentinelle), ma anche con altre di più grande levatura che si rifanno alle tematiche portanti dei grandi classici degli Uomini X. La mossa vincente, però, è nel mettere abilmente a segno il gioco delle tre carte, dove queste tematiche e i toni fortemente ansiogeni, che dovrebbero contraddistinguere una ipotetica ultima stagione conclusiva, vengono messi in chiaro fin da subito; Nelle ultime stagioni di The Sopranos e di Sons Of Anarchy (per citare due diversi filoni di serie a sfondo gangster) poteva succedere di tutto, chiunque poteva morire senza pesanti conseguenze narrative: qui, in Heroes Reborn, se la doppia-premiere pecca nell’essere forse troppo modesta, si fa perdonare avvertendoci che potrebbe potenzialmente succedere di tutto, trattando non solo tematiche forti ma prendendo anche decisioni spregiudicate, prova i minuti spesi a presentare personaggi che muoiono in un batter d’occhio e l’uccisione della vecchia gloria del vecchio cast René, eliminazioni messe a segno senza troppi rimorsi e archiviate in tutta freddezza.
Ingranando una marcia del tutto bellicosa incentrate su tematiche impegnate come il razzismo, l’anti-antisemitismo e la diversità (tematiche, come mai prima d’ora, attuali) non solo ha la possibilità di approfondirle meglio di quanto gli X-Men possano fare al cinema per ovvi problemi di minutaggio e servendosi del vantaggio seriale, Heroes Reborn si crea la sua fortuna e trasforma una ideale chiusura utopistica in una fonte virtualmente inesauribile di spunti, approfondimenti e addirittura idee per le prossime stagioni (nel caso ci saranno); non è un caso se, infatti, la narrazione coinvolge nuovamente metodi di distribuzione multi-piattaforma con la pubblicazione correlata di fumetti, videogiochi e una webserie/prequel. Dove poteva semplicemente reboottare il tutto o creare la fiera dei buoni sentimenti, Kring decide di essere onesto con sé stesso e il pubblico, optando più per un restart della serie, per un re-pilot nel ricostruire una mitologia partendo da zero: scelta decisamente encomiabile e che, forse, pochi avrebbero preso. Ora, sta tutto nello sfruttare queste ottime e accattivanti premesse.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
Brave New World 1×01 | 6.09 milioni – 2.0 rating |
Odessa 1×02 | 6.09 milioni – 2.0 rating |
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora