“En el siglo XIV los campesinos vivían sujetos a los señores feudales sin que ninguna ley los amparara. […] En Barcelonas la nascente burguesìa estableciò institutiones que intentaron frenar los abusos de reyes y nobles y alzò edificios que se han mantenido en pie a lo largo de los siglo. La Iglesia de Santa Maria Del Mar, en el barrio de la Ribera, no fue costruida por los reyes, ni obispos, sino por el pueblo. Esta es la historia de uno de los hombres que convertieron en realidad aquel sueño.”
L’introduzione iniziale non lascia alcun dubbio su quello che sarà il focus principale di questa nuova produzione spagnola targata Netflix (in collaborazione con l’emittente Antena 3, già casa di produzione del fortunato La Casa De Papel).
Per chi invece non masticasse lo spagnolo, l’ambientazione storica è la seguente: nel XIV secolo in Spagna vigeva, come in altre parti d’Europa, il sistema feudale, per cui i re e i nobili potevano disporre delle loro terre e delle persone che abitavano e lavoravano in esse come volevano, di fatto trattandoli come schiavi, sapendo che non disponevano di alcun diritto.
L’unico modo con cui questi potevano sfuggire alla miseria era andare nelle grandi città (come, in questo caso, Barcellona), dove la nascente borghesia commerciale, più attenta alle esigenze sociali, permise loro di poter vivere più o meno liberamente e dotarsi di istituzioni che li proteggessero.
Una di queste era la Basilica di Santa Maria Del Mar, costruita dagli stessi braccianti cittadini e appartenente a loro, in contrapposizione alle altre chiese che erano costruite solo ad uso e consumo di nobili e re.
In questo contesto si svolge la storia di Bernat Estanyol e di suo figlio Arnau. Bernat è un servo della gleba che ha disubbidito al suo padrone (il quale precedentemente aveva violentato sua moglie e rapito suo figlio) e ucciso un uomo per rabbia. Per questi motivi è costretto a riparare a Barcellona, città in cui vive sua sorella andata in sposa a un commerciante del luogo, Genis Puig. Bernat spera che qui lui e suo figlio possano elevarsi socialmente e diventare liberi grazie all’appoggio dei Puig, per cui lascia che il figlio venga allevato come un “figlio adottivo” da loro.
Ma i rapporti famigliari non sono mai semplici e ben presto in Arnau nasce una certa coscienza sociale per quanto riguarda la sua condizione e quella del padre che va in netto contrasto con quella della sua “famiglia adottiva”.
Tratta dal romanzo omonimo dello scrittore spagnolo Ildefonso Falcones, primo di una lunga serie, La Catedral Del Mar è sicuramente avvantaggiata dal fatto di avere dietro un nome e una produzione importante che richiamano a sé una certa attenzione. E sicuramente lo spettatore che ha già letto i romanzi è avvantaggiato in quanto può godere appieno di una ricostruzione storica e sociale dettagliata e definita della Spagna medievale, così com’è descritta nei romanzi.
Diversamente, lo spettatore che non abbia avuto a che fare prima con il romanzo di Falcones, potrebbe avere dei problemi. Intanto perché la serie non si differenzia poi molto da altre in pieno stile period-drama che sconfinano, decisamente troppo, nel genere soapish. Il che è perfettamente normale dal momento che lo stesso romanzo si rifaceva a quello stile da feuilleton ottocentesco che si presta bene per questo tipo di produzioni.
Peccato che questo aspetto risulti alla fine troppo prevalente rispetto a quello di formazione del protagonista, sul quale occorre fare un’ulteriore riflessione.
Non è ben chiaro, almeno da questo pilot, chi in effetti sia il protagonista della storia. Chi ha letto i romanzi sa bene che il fulcro della vicenda riguarda più Arnau Estanyol che non il padre Bernat, il quale sarà il vero protagonista della scalata sociale della sua famiglia. Anche se ormai le produzioni Netflix sono pensate per il binge-watching (ma la serie è stata trasmessa in precedenza per il piccolo schermo con cadenza settimanale!) per cui ormai lo spettatore è abituato alle puntate puramente introduttive o di raccordo, non è comunque molto azzeccato mostrare il protagonista solo nella seconda parte di puntata (e per pochi minuti poi), dando l’impressione che il protagonista sia piuttosto il padre.
Si può solo supporre che, dalla prossima puntata, il ruolo di Arnau sarà più preponderante, in caso contrario si avrà una prima stagione molto lenta in quanto la parte relativa la padre di Arnau, almeno nel romanzo, veniva rapidamente sbrigata in poche pagine.
Oltretutto lo stesso finale sembra essere molto raffazzonato, e di fatto non lascia presagire nessuna ascesa sociale da parte della famiglia Estanyol. Il suo unico scopo pare essere quello di rendere fin da subito antipatica il personaggio di Margarida, la maggiore dei figli dei Puig. Il che è sicuramente intenzionale da parte degli autori, ma ciò non ne sminuisce l’inutilità in un momento che dovrebbe essere quello più importante di tutta la storia, in cui il giovane Arnau prende coscienza del suo ruolo sociale.
Si aggiunga a questo il fatto che l’attrice che interpreta la ragazzina si è appena guadagnata una nomination come “cagna del secolo per una serie tv” (titolo per cui sono in lizza molte delle attrici, ma anche attori, presenti in questa serie).
Come inizio, dunque, poteva certamente essere meglio, ma rimane comunque un discreto period-drama in cui è presente una forte componente sociale e politica che strizza l’occhio anche alla contemporaneità (di certo non tanto meglio di allora) e che s’insinua in quella scia di “serie tv politiche” (in cui si nota l’influenza de La Casa De Papel) che riescono comunque a creare un certo interesse nel pubblico.
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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!